Il Day after della sentenza della Cassazione è afoso. Politicamente appiccicoso, pieno di incognite, tutt’altro che tranquillo. Bastonato a morte da quella magistratura, da sempre considerata eversiva, Silvio Berlusconi parla di giudici “irresponsabili” e “di accanimento giudiziario”. Resta la condanna, pesante e non più appellabile, che fa del premier del centrodestra non più un uomo libero ma un cittadino soggetto a restrizioni ed impedimenti che rendono difficile, se non impossibile, la sua dichiarata volontà di restare in campo e la sua manifesta voglia di lottare ancora. Chi lo conosce bene sa che quello di Berlusconi è l’animo di un combattente, di uno che non molla la presa. Il suo Dna di falco lo porterà, nei prossimi giorni, a studiare strategie d’attacco per non restare fermo su quella che molti considerano la sua Mediaset Waterloo. E da quello che l’ex premier deciderà di fare, dipendono sia la sorte del governo Letta che quella della legislatura. La condanna, infatti, se da un lato appesantisce la posizione del leader rispetto al panorama politico generale, dall’altra non mette in discussione il suo ruolo strategico nel centrodestra che anzi da questa, che il Pdl considera acriticamente una sentenza liberticida, esce indubbiamente rafforzato. E tutto questo scenario si dispiega mentre il Pd rischia di implodere su quelle larghe intese caldeggiate e volute dal presidente della Repubblica Napolitano al quale oggi non resta che appellarsi alla “serenità” e al “senso di responsabilità” di tutti per evitare ulteriori e più gravi danni al Paese. Ma le buone intenzioni non basteranno. Fare finta di non capire che la sentenza della Cassazione ha messo (giustamente) a nudo ipocrisie, ambiguità e cinismo di una classe politica-casta tesa a sopravvivere a se stessa grazie alla copertura offerta dalla formula dell’emergenza nazionale, non ha più senso. E’, infatti, chiaro a tutti che nel breve periodo a destra non potrà materializzarsi un successore carismatico all’altezza di Berlusconi, mentre a sinistra sarà difficile, se non impossibile, riallineare le tessere di quel mosaico-cartello chiamato Partito democratico, messo a dura prova dalla scelta di un governo che almeno nelle intenzioni doveva assicurare un paio d’anni di tregua per risolvere i guasti più seri provocati dalla crisi economica, mettendo anche mano ad alcune riforme politico istituzionali a cominciare dalla legge elettorale.
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