Da agosto 2014 L’Unità, lo storico quotidiano fondato il 12 febbraio 1924 da Antonio Gramsci, organo ufficiale del Partito Comunista Italiano, non è più in edicola. La società che si occupava della sua pubblicazione ha consegnato i libri contabili in Tribunale per un fallimento con cifre ballerine ma assai elevate: almeno a 100 milioni ammonta il debito pregresso. Anche se nei suoi 14 anni di vita risulta avere incassato ben 60 milioni di euro di contributi pubblici, oltre, naturalmente, ai compensi derivati dalla pubblicità, soldi a dare non ce ne sono in cassa.
Chiuso ben due volte, la seconda appunto l’estate scorsa, L’Unità ha lasciato i suoi dipendenti, giornalisti e non, senza lavoro e a doversi sobbarcare l’onere delle cause civili perse, anche di quelle delle quali gli interessati non erano a conoscenza.
Fin qui niente di particolarmente strano, perché di chiudere per un fallimento che mette per strada qualche centinaio di persone – s’era già visto dopo l’estate del 2011 quello del gruppo Epolis, con ben 19 testate, che non venne più fatto uscire lasciando senza lavoro circa 1000 persone, tra strutturati e collaboratori – se ne sono registrati altri.
Succede però che questa volta ci sia di mezzo Concita De Gregorio, ex direttore della testata, che si è vista pignorare i beni essendo stata condannata insieme ad altri giornalisti a risarcire i danni al posto della società editrice fallita Nie (Nuova Iniziativa Editoriale Spa), per una cifra di oltre 400 mila euro. L’Unità non paga la sua quota perché è in liquidazione e, allora, viene chiamato in causa il PD, che dal 2011 ha una piccola parte del giornale (dal 1997 fino al 2011 era stato invece proprietà esclusiva di privati).
Di fatto è successo che a giugno scorso la situazione finanziaria di Nie è precipitata: gli amministratori hanno deciso di mettere in liquidazione la società che ha portato i libri in tribunale con 32 milioni di debiti. Da quel momento Nie non è più ufficialmente in grado di pagare i creditori, compresi coloro che hanno vinto le cause di diffamazione e hanno diritto al risarcimento da parte de L’Unità. E qui sorge il problema: la responsabilità nelle cause di diffamazione è ripartita tra editore, giornalista e direttore della testata in questa proporzione: 80 per cento per l’editore, 10 per cento per il direttore, 10 per cento per il giornalista che ha scritto l’articolo. Tutti e tre i soggetti però sono responsabili in solido: significa che se uno dei tre non è in grado di pagare, gli altri possono essere obbligati dal giudice a pagare per lui. Ed è proprio quello che è accaduto: oberata dai debiti Nie non può pagare e così il tribunale ha deciso che a risarcire i soggetti diffamati dovranno essere i giornalisti, per il totale della somma. “Questo comporta – dice Concita De Gregorio, direttore de L’Unità dal 2008 al 2011 – che io dovrò pagare ai creditori non la mia quota di responsabilità, ma la mia più quella di Nie, che naturalmente è molto più grande”.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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