Il gusto per la decorazione, nei bozzetti e nei figurini degli spettacoli Il castello nel bosco, La Tarantola e Bolle di sapone, realizzati per il teatro dell’Opera di Roma dal 1931 al 1953. L’espressività dei ritratti dei personaggi dell’avanguardia artistica internazionale, da Picasso a Leger, da Balla a Marinetti. I quaderni di schizzi e disegni realizzati a Capri, isola amatissima. E poi i manifesti, le lettere, le cartoline, le opere grafiche, gli appunti visivi e non scritti su fogli ‘volanti’, e perfino le ricevute delle camere d’albergo nell’incredibile mole di documenti conservati in un archivio che sembra ‘vivo’ come lo studio di un pittore. C’è tutta le genialità di Enrico Prampolini nella retrospettiva che il Macro gli dedica dall’11 novembre al 15 gennaio, nel sessantennale della scomparsa, avvenuta a Roma nel 1956. Intitolata Laboratorio Prampolini, la mostra rende al pubblico la fervente e poliedrica attività dell’artista futurista direttamente ‘nel suo farsi’. Il percorso espositivo testimonia infatti i tanti campi in cui egli esercitò la sua creatività, andando ben oltre l’esperienza, seppur cruciale, del Futurismo: dal disegno alla pittura, dalla scenografia teatrale all’architettura, nella Project Room #2 del museo romano è in mostra una nutrita serie di lavori (alcuni anche inediti) realizzati tra il 1920 e il 1950, anni cruciali per l’artista, in cui ha svolto una continua attività di ricerca costantemente rivolta alla sperimentazione. Ma è nella Biblioteca, dove sono esposti per tematiche oltre 150 documenti provenienti dall’Archivio Prampolini (donato nel 1992 dagli eredi al Comune di Roma e conservato al Macro), che davvero si ha la reale percezione di quanto effervescente fosse la sua ricerca, in una mai sopita riflessione teorica sull’arte. “Associare i termini laboratorio e archivio non è un ossimoro, perché l’archivio deve essere un luogo aperto, attraversabile, vivo, e così lo abbiamo reso in questa mostra”, ha detto all’Ansa Giancarlo Riccio, curatore con Federica Pirani. “Abbiamo voluto offrire un diario visivo dagli anni ’30 in poi, raccontando Prampolini come un artista continuamente al lavoro, mostrando i primi passi che lo conducevano alla realizzazione vera e propria dell’opera d’arte, ossia gli schizzi e i disegni, nei quali lui portava avanti la sua sperimentazione”. Parallelamente, proseguendo sulla strada dell’astrattismo, dall’11 novembre si apre anche la retrospettiva dedicata dal Macro a Lia Drei e Francesco Guerrieri: un trionfo di colori e forme che testimonia la fervida attività condotta nell’ambito della cosiddetta ‘arte programmata’ dalla coppia di artisti, compagni nella vita e nel lavoro, in un decennio molto importante per le avanguardie artistiche (dal 1962 al 1973). Le 27 opere in mostra documentano quanto, pur nelle reciproche differenze, Drei e Guerrieri abbiano saputo elaborare una visione capace di coniugare la regola e la razionalità con l’emozione e l’intuizione lirica. Come ha spiegato Gabriele Simongini, curatore con Federica Pirani, “la coppia nella propria ricerca ha ribadito la centralità del quadro e della pittura senza ausili tecnologici, trovando nel colore la piena espressione dell’identità italiana”.
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