La corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il ballottaggio previsto dall‘Italicum, la legge elettorale in vigore dal luglio 2016 ‘impugnata’ da un pool di legali in qualità di cittadini elettori. Nell’ambito del pronunciamento E’ stato invece giudicato legittimo il premio di maggioranza che la legge attribuisce al partito che supera il 40% dei voti. No anche alla norma che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere quello d’elezione, resta il criterio del sorteggio. Una decisione che avvicina le elezioni per Pd, M5s e Lega.
La Consulta ha definitivamente cancellato l’Italicum e ha cristallizzato un nuovo status quo che sarà difficile modificare. Con l’abolizione del ballottaggio i sistemi elettorali delle due camere sono diventati abbastanza simili da rendere possibile il ricorso alle urne in tempi brevi. Restano – è vero- delle differenze importanti ma non sono tali da rappresentare un ostacolo insormontabile. Sono quattro. La prima è il premio di maggioranza che resta alla Camera, ma non c’è al Senato. la seconda sono le soglie. Per avere seggi alla Camera basta il 3% di voti a livello nazionale. Al Senato le liste singole devono prendere l’8%. Alle liste in coalizione basta il 3% a condizione però che la coalizione arrivi al 20%. Tutte soglie – si badi bene – a livello regionale. La terza è la possibilità che si formino coalizioni al Senato (per far scattare lo sconto sulla soglia), mentre alla Camera il premio può andare solo a una lista. La quarta sono i capilista bloccati alla Camera, mentre al Senato tutti i senatori saranno eletti con il voto di preferenza. Dal punto di vista della competizione elettorale e dei suoi possibili esiti contano le prime tre. La quarta incide sul processo di selezione dei parlamentari e sul potere dei segretari di partito.
Era inevitabile, scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera, che una legge elettorale modellata su un Parlamento composto da una sola Camera venisse picconata. La sentenza emessa ieri pomeriggio dalla Consulta è figlia legittima di una stagione di riforme scritte e imposte dal Pd in una realtà virtuale. Una realtà virtuale smentita bruscamente dal referendum del 4 dicembre. La domanda, adesso, non riguarda solo le indicazioni che la Corte costituzionale ha dato per riplasmare il sistema del voto. Rimanda soprattutto a come i partiti le piegheranno ai proprio obiettivi, dopo avere atteso per mesi, passivamente, il responso. Il problema non è tanto quello di evitare a ogni costo le elezioni. Ma prima ancora che votare presto, l’esigenza è di votare bene. Significa dare al sistema una legge elettorale approvata col consenso di un insieme di forze più largo di quello governativo, perché altrimenti sarebbe condannata a essere effimera. E in grado di evitare la creazione di maggioranze diverse tra Camera e Senato, come ha segnalato nel discorso di Capodanno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: perché è sempre più evidente che a rallentare le decisioni e creare instabilità sono due rami del Parlamento con coalizioni sfalsate, non il bicameralismo in sé. Finora il sistema politico ha aspettato con una miscela di ansia e rassegnazione il responso della Consulta. Da oggi, però, dovrà assumersi la responsabilità di cercare un’intesa che cancelli la sensazione di un pericoloso immobilismo.
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