“Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861″.
Sono le parole che si possono leggere nel documento della legge n. 4671 del Regno di Sardegna e valgono come proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, che fa seguito alla seduta del 14 marzo 1861 del parlamento, nella quale è stato votato il relativo disegno di legge. L’anno prossimo saranno cent’anni.
Il 21 aprile 1861 quella legge diventa la n. 1 del Regno d’Italia. In circa due anni, dalla primavera del 1859 alla primavera del 1861, nasce, da un ‘Italia frammentata in sette Stati, il nuovo regno sotto la guida dei piemontesi Savoia: un percorso che parte dalla vittoria militare degli eserciti franco-piemontesi nel 1859 e dal contemporaneo progressivo sfaldarsi dei vari Stati italiani che avevano legato la loro sorte alla presenza dell’Austria nella penisola, e si conclude con la proclamazione di Vittorio Emanuele II re d’Italia. Tra il 1859 e il 1860 non c’è un vero scontro tra l’elemento liberale e le vecchie classi dirigenti, ma una rassegnata accettazione della nuova realtà da parte di queste ultime.Ma l’idea del Risorgimento come afflato di popolo, da Bergamo a Agrigento, è da anni messa in discussione dal dibattito storiografico.
Nel regno meridionale retto dai Borboni si manifestano resistenze, dopo la perdita della Sicilia e l’ingresso di Garibaldi a Napoli (7 settembre), senza colpo ferire, con la battaglia del Volturno e la difesa di alcune fortezze. La questione meridionale, con una veloce centralizzazione del nuovo potere dopo più di un millennio in cui l’Italia non è stata unita, nasce da lì: con il brigantaggio, resistenza ai nuovi dominatori, piegato dai Savoia con brutalità.
Il neonato Stato italiano non ha tradizioni politiche univoche (insieme a un centro nord con tradizioni comunali e signorili, c’era un mezzogiorno con tradizioni monarchiche fortemente accentrate a Napoli) ma si basa solo su una nazione culturale di antiche origini che costituisce un forte elemento unitario in tutto il paese. Nel rapidissimo riconoscimento del regno da parte della Gran Bretagna e della Svizzera il 30 marzo 1861, ad appena due settimane dalla sua proclamazione, seguito da quello degli Stati Uniti d’America il 13 aprile 1861, al di là delle simpatie per il governo liberale di Torino, c’è anche un disegno, anche se ancora incerto, sul vantaggio che avrebbe tratto il continente europeo dalla presenza del nuovo regno. Comincia infatti a diffondersi la convinzione che l’Italia unita avrebbe potuto costituire un elemento di stabilità per l’intero continente. Invece di essere terra di scontro tra potenze decise ad acquistare una posizione egemonica nell’Europa centro-meridionale e nel Mediterraneo, l’Italia unificata, cioè un regno di oltre 22 milioni di abitanti, avrebbe potuto rappresentare un efficace ostacolo alle tendenze espansioniste della Francia da un lato e dell’impero asburgico dall’altro e, grazie alla sua favorevole posizione geografica, inserirsi nel contrasto tra Francia e Gran Bretagna per il dominio del Mediterraneo. Ciò che poi avverrà, soprattutto con il Fascismo, ma con esiti per noi disastrosi. Ma questo è passato remoto. Quel che resta oggi, dopo un secolo e mezzo, è un Paese che, specie dal punto di vista economico, non è ancora riuscito a amalgamarsi. E che molti, non solo al Nord, vedrebbero bene non più tanto unito.
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