Due italiani sono stati rapiti ieri mattina a Ghat, in Libia. Sono Danilo Calonego, un 66 enne originario della provincia di Belluno, e Bruno Cacace, un 56 enne di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) che vive in Libia da quindici anni. Entrambi dipendenti della Con.I.Cos, una società di costruzioni cuneese impegnata nella manutenzione dell’aeroporto di Ghat, sono stati sequestrati nel deserto da un commando di banditi armati e mascherati insieme a un loro collega canadese.
Ghat si trova nell’estremo sudovest del Fezzan, vasta regione desertica dell’entroterra libico, a pochi chilometri dai confini con l’Algeria e il Niger. Formalmente è sotto il controllo del governo di Fayez al-Sarraj, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, ma è un territorio vasto e difficile da controllare, attraversato da tribù di tuareg e bande di contrabbandieri. Secondo i servizi di sicurezza non si tratta di un’area ad alto rischio: qui i nomadi sono alleati di Tripoli. Ma è pur sempre un punto di passaggio usato anche da qaedisti e miliziani agli ordini, o anche solo simpatizzanti, dell’ISIS.
Il sequestro è avvenuto tra le 7 e le 8 di mattina, mentre i tre erano in viaggio verso l’aeroporto su un fuoristrada guidato da un autista, che è stato ritrovato sul luogo con le mani legate. I rapitori “hanno aperto il fuoco contro di loro e poi li hanno prelevati”, dice un membro del consiglio comunale di Ghat al sito egiziano Masrawy.com. “Li hanno fermati in mezzo alla strada, nel deserto”, ricostruisce Pier Luca Racca, un italiano che ha lavorato all’aeroporto di Ghat: “Probabilmente hanno visto un’auto ferma e hanno rallentato pensando fosse in panne…”.
Sull’identità dei sequestratori gli inquirenti non escludono ancora alcuna ipotesi, ma la più probabile è che si tratti di criminali comuni in cerca di un riscatto. Hassan Osman Elissa, il portavoce della municipalità, ha riferito alle agenzie di stampa che i rapitori sono persone conosciute alle autorità, ma non ha aggiunto altri dettagli.
Prima che il caso diventasse di pubblico dominio – la notizia è stata divulgata ieri sera – la Farnesina ha cercato di trovare una soluzione rapida all’incidente, ma senza risultato. Ora sarà fondamentale capire chi c’è dietro il rapimento e che cosa pretende come contropartita. Il rischio più temuto è che i sequestratori, in cambio di denaro, cedano i tre ostaggi a qualche gruppo jihadista che potrebbe usarli per gesti dimostrativi contro la presenza di italiani, o comunque di occidentali, in Libia. In quest’ottica non è un buon segno che il sequestro non si sia risolto rapidamente. C’è il precedente del sequestro, l’anno scorso, di quattro tecnici italiani della Bonatti, un’altra azienda di costruzioni; ma vale la pena di notare che quel fatto è accaduto a Sabrata, una zona più turbolenta, teatro di scontri fra il governo di accordo nazionale di Tripoli, il governo di Tobruk e milizie jihadiste. Dei quattro italiani rapiti, due, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, sono stati liberati dopo otto mesi di prigionia, ma gli altri due, Fausto Piano e Salvatore Failla, sono morti in circostanze non ancora del tutto chiarite.
Perché questo nuovo sequestro si risolva in modo felice, l’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) sta facendo tutto il possibile, interrogando i suoi contatti in Libia e collaborando con la Con.I.Cos. Intanto la Procura di Roma ha fatto sapere di stare per aprire un fascicolo per sequestro di persona con finalità di terrorismo. Il primo atto formale delle indagini sarà la consegna dell’informativa di rito dei ROS. A Roma si è mosso anche il Copasir, che probabilmente convocherà a breve il direttore AISE Alberto Manenti.
Con Calonego e Cacace sale a tre il numero degli italiani finiti nelle mani di ignoti sequestratori all’estero. Da tre anni non si hanno più notizie certe di padre Paolo Dall’Oglio, rapito a Raqqa, in Siria, a luglio 2013.
F.M.R.
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