Mutilazioni genitali femminili, pratica tribale alla fine?

Mutilazioni genitali femminili: una pratica tribale che interessa 125 milioni tra bambine e donne di 29 paesi africani e mediorientali. Altri 30 milioni rischiano di rimanenrne vittima nei prossimi dieci anni.
Tolleranza zero verso le mutilazioni genitali femminili che comunque in termini percentuali e di comunità africane che pubblicamente hanno dichiarato di voler porre fine a questa violenza un lieve calo lo hanno registrato.Dopo la risoluzione di condanna di interventi del genere da parte dell’Assemblea generale dell’Onu, avvenuta circa un anno fa, si discute oggi sulla necessità di individuare nuove iniziative per mettere al bando questa pratica tribale che ha fatto decine di milioni di vittime. Più di 125 milioni tra bambine e donne di 29 paesi africani e mediorientali sono stati toccati personalmente dal problema, mentre altri trenta milioni rischiano di rimanerne vittima nei prossimi dieci anni.
Fino a venerdì 25 ottobre a Roma, presso l’Auditorium Parco della Musica, sull’argomento mutilazioni genitali femminili è in corso una conferenza internazionale promossa da Unfpa (United Nations Population Fund) e Unicef, con il sostegno dell’Italia, che è stata aperta dal ministro degli Esteri Emma Bonino. La conferenza ha portato a Roma ben 17 rappresentati di Paesi africani, per fare il punto sullo stato della pratica nel mondo e per coordinare le strategie per fermarla.
“Noi lavoriamo per il cambiamento – ha detto il ministro Bonino, impegnata su questo fronte già da giovane attivista dei diritti umani e poi nelle aule di Bruxelles, come parlamentare e commissario – Passi avanti ne sono stati fatti ma bisogna accelerare. Se il tasso di mutilazioni genitali femminili continua ad essere ridotto dell’ 1% all’ anno il fenomeno verrà debellato infatti solo tra 60 anni, mentre riducendolo del 10% annuo l’ obiettivo potrebbe essere raggiunto tra due anni”.  
Fino ad oggi l’ Italia ha contribuito all’ approvazione, nel dicembre del 2012, della risoluzione 67/146 delle Nazioni Unite contro le mutilazioni genitali femminili, dichiarate a tutti gli effetti violazione dei diritti umani, definendo anche delle iniziative per cercare di contrastare il fenomeno. In primo luogo la sensibilizzazione e l’ educazione delle popolazioni interessate a questa sorta di rituale. Ed i buoni risultati di questi metodi basilari sono certificati dai numeri: dal 2012 9.775 comunità in 15 paesi nel mondo ad abbandonare la pratica.
“Con impegno e perseveranza le cose possono cambiare “, assicura Emma Bonino. La battaglia, secondo la titolare della Farnesina, deve concentrarsi su quattro direttrici: stimolare gli Stati a soddisfare gli impegni presi nella risoluzione; adottare strutture normative e politiche per la parità di genere; creare partnership e risposte multi-settoriali, trovare risorse aggiuntive per istituzioni e ong.  “Spero che la società civile mi sostenga” nell’impegno finanziario dell’Italia a favore della campagna per abolire la pratica delle mutilazioni genitali femminili. L’Italia vive in un periodo difficile per la crisi economica e mantenere gli impegni non è facile neanche davanti l’opinione pubblica”. In ogni caso, si tratta di una battaglia per la difesa dei diritti umani “che non ha frontiere”. La Bonino nutre anche la speranza di poter intraprendere altre lotte con la stessa partecipazione di almeno una parte dei paesi interessati avuta per le mutilazioni genitali femminili.  Come quella contro il matrimonio dei bambini:  “un’ altra pratica dolorosa che potremo comprendere nella nostra rete”. Secondo la Bonino, che ha ricordato gli 8 milioni stanziati dall’ Italia per la lotta al fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, per questa battaglia “è stata fondamentale la leadership dei paesi africani e l’ assistenza tecnica e finanziaria per sostenere le Ong. Sosterrò  l’ impegno del governo dal punto di vista economico, finanziario e politico – ha concluso il ministro -nella speranza che ci siano le condizioni per estenderlo ad un secondo obiettivo, la lotta contro i matrimoni giovanili e i matrimoni forzati”. 
Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili non ha eguale distribuzione nei paesi interessati. Se sono quasi universali a Gibuti, in Egitto, in Guinea e in Somalia -l’ ultimo paese in ordine di tempo ad aver introdotto una legge che le proibisce- colpiscono fortunatamente solo l’ un per cento delle ragazze in Camerun e Uganda. Il fenomeno inoltre non è caratterizzato a livello nazionale, ma segue le etnie, sottolinea il rapporto
dell’ Unicef presentato in occasione della conferenza. “Non si tratta neanche di religione, ma di pratiche ancestrali”, ha sottolineato la ‘ first lady’ del Burkina Faso, Chantal Compaore, ambasciatrice della commissione interafricana per le pratiche tradizionali dannose. Anche se va tenuto presente che le mutilazioni genitali femminili vengono reintrodotte o introdotte con la diffusione in alcune aree dell’ integralismo religioso, con i salafiti in Tunisia, per esempio, o appunto, in Indonesia, come denunciano ad Aidos, l’ Associazione italiana donne per lo sviluppo, fra le prime a occuparsi del fenomeno delle mutilazioni e ora attiva soprattutto nella formazione. Ma il dato forse più significativo registrato dalla ricerca Unicef è la potenza del condizionamento sociale: le donne convinte che debba essere posto fine alle mutilazioni genitali femminili si dimostrano riluttanti a prendere decisioni in tal senso se vi è una aspettativa nel gruppo di cui fanno parte. ” A meno che le leggi non siano accompagnate da misure per influenzare le tradizioni e le aspettative culturali, tendono a non essere efficaci dal momento che la questione non viene affrontata nel suo contesto sociale più ampio”, sottolinea il rapporto. Tali pratiche sono quindi prevalenti fra le figlie di donne che
sono state mutilate e che ne sostengono il proseguimento. In un paese come la Mauritania, dove l’incidenza di questo fenomeno ha avuto un aumento percentuale dell’1,3 , l’ 87 per cento delle bambine di età comprese fra  zero ei 14 anni con madri che sostengono il proseguimento della pratica viene mutilato, contro il 41 per cento di chi invece ha una madre contraria. Percentuali del 64 per cento e 15 per cento in Nigeria, 54 e 11 nel Burkina Faso. In Somalia il 98 per cento delle ragazze e donne di età compresa fra 15 e 49 anni vengono private degli organi dell’apparato genitale femminile che possono procurare piacere sessuale, il 96 per cento in Guinea, il 93 a Gibuti e del 91 in Egitto. In molti di questi Paesi la mutilazione viene imposta a una bambina prima dei primi cinque anni di età, ovvero per l’ 80 per cento dei casi in Somalia, Egitto, Repubblica Centroafricana e Ciad.
 
 

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