Ventuno ragazze rapite da Boko Haram sono state liberate in Nigeria. Fanno parte del gruppo di 276 studentesse sequestrate dai terroristi ad aprile 2014. Lo ha riferito alla BBC un alto funzionario governativo nigeriano, che ha ottenuto di rimanere anonimo, mentre il governo di Abuja non ha ancora rilasciato alcun comunicato ufficiale.
La dinamica della liberazione non è ancora chiara, ma in queste ore l’esercito nigeriano sta mettendo in atto un’operazione su vasta scala nella foresta di Sambisa, una roccaforte di Boko Haram a cavallo del confine con il Ciad. Ora si ritiene che le ragazze siano sotto la protezione dei servizi di sicurezza a Maiduguri, capitale dello Stato del Borno – nell’estremo nordest del Paese – e luogo di fondazione di Boko Haram.
Le ragazze erano state sequestrate da un dormitorio scolastico a Chibok – un’altra città del Borno, a due ore di auto da Maiduguri – nella notte fra il 14 e il 15 aprile 2014. La struttura era gremita di studentesse perché nei giorni successivi era in programma un importante esame di Stato, anche se le lezioni regolari nelle scuole erano sospese proprio per il rischio di attacchi di Boko Haram. I rapitori si erano spacciati per guardie e avevano convinto le ragazze a seguirli a bordo dei camion con cui le hanno portate via. Abubakar Shekau, il capo di Boko Haram, rivendicò il sequestro in un video tre settimane dopo.
Le scuole in stile occidentale sono da sempre un obiettivo dei miliziani nigeriani: il nome Boko Haram significa proprio “L’istruzione occidentale è peccato”. Il gruppo è radicalmente contrario all’istruzione femminile.
Delle 276 vittime del sequestro, 56 sono riuscite a fuggire nei mesi successivi e a raccontare le loro esperienze ai giudici nigeriani e alle organizzazioni che tutelano i diritti umani. Lo scorso maggio è stata ritrovata Amina Ali Nkeki, 19 anni. È stata individuata mentre vagava nella foresta: era scappata con sua figlia, nata pochi mesi prima, durante la prigionia. Altre cinquanta compaiono in un video in cui un portavoce dei miliziani propone di impiegarle in uno scambio di prigionieri con il governo nigeriano.
Se i numeri sono giusti, mancano all’appello ancora 198 ragazze. Non è chiaro quante di loro siano ancora vive: quelle che sono tornate hanno raccontato di essere state convertite a forza all’Islam (molti abitanti di Chibok sono cristiani) e costrette a sposare miliziani di Boko Haram, di aver subito violenze e di essere state ridotte in schiavitù. Alcune di loro dovrebbero essere state portate oltreconfine attraverso la foresta di Sambisa. Altre potrebbero essere morte nelle operazioni condotte dall’esercito contro i campi dei terroristi.
Anche per via delle sue dimensioni senza precedenti, il rapimento delle ragazze di Chibok ha suscitato un’ondata di indignazione in tutto il mondo. A dare visibilità alla vicenda contribuì la campagna su Twitter cui aderirono anche il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai e la first lady USA Michelle Obama, con l’hashtag #BringBackOurGirls.
F.M.R.
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