A quanto pare il referendum costituzionale non riscalda solo la platea italiana ma richiama l’attenzione dell’osservatorio economico internazionale. Per il Financial Times e il Wall Street Journal la vittoria del no al voto del 4 dicembre potrebbe causare non pochi problemi all’economia, arrivando a minare la solidità dell’euro e dell’Europa intera.
Sia il quotidiano inglese che quello americano, entrambi specializzati in analisi economiche e finanziarie, vedono nel referendum un banco di prova per il Governo Renzi: una sua sconfitta potrebbe compromettere la continuità politica del Paese e ciò avrebbe delle ripercussioni sul piano economico internazionale, in particolare in ambito europeo. Malgrado tutti gli sforzi che il premier ha compiuto nell’ultimo periodo per scindere la questione del voto referendario dalla fiducia o meno all’operato del suo Governo, a livello internazionale sembra invece prevalere la personalizzazione in cui lo stesso Renzi era caduto all’inizio, affermando a più riprese che nel caso non fosse riuscito ad ultimare il programma delle riforme previste, avrebbe lasciato il Governo.
D’altra parte, proprio questa mattina in un’intervista su Radio 24, il premier ha ribadito di non essere “un tipo che vuole vivacchiare”. Io sto qui per cambiare le cose – ha continuato il Presidente del Consiglio – non per stare in un governicchio. Se dobbiamo tornare a quelli di prima, alla logica dei veti, questo non fa per me”.
“L’Italia e la minaccia delle disintegrazione” per il Financial Times. Un’altra freccia all’arco del populismo dilagante, una moneta europea più debole e un’Italia che esce dall’Unione Comunitaria. A tratteggiare questo sconcertante quadro è Wolfgang Münchau, condirettore del Financial Times ed esperto di Unione Europea. Secondo Münchau, il 5 dicembre, all’indomani del voto, “l’Europa potrebbe svegliarsi con l’immediata minaccia della disintegrazione”. L’economia italiana è debole, aggiunge l’esperto, e la politica di austerity dopo la crisi del 2009 non ha facilitato le cose e alimentato il fuoco dell’antipolitica e dell’ascesa di leader populisti, Donald Trump in primis.
In Italia, i partiti di opposizione al Governo (Forza Italia, M5S, Lega Nord) che si sono dichiarati contrari alla riforma costituzionale sono gli stessi che per un motivo o per l’altro sostengono l’uscita dell’euro, e questo rappresenta un elemento di rischio a livello di stabilità europea.
A questo, continua Münchau, si dovrà aggiungere come ulteriore elemento destabilizzante la probabile vittoria di Marine Le Pen alle prossime elezioni presidenziali francesi: Se “la signora Le Pen ha promesso un referendum sul futuro della Francia nell’Ue. Se questo dovesse portare alla ‘Frexit’ (l’uscita dall’Ue di Parigi come la Brexit, ndr.), l’Unione europea sarebbe finita il giorno dopo e così l’euro”.
Alla fine, ciò che risulta più probabile non è un ” collasso dell’Ue o dell’euro ma un’uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l’Italia, ma non la Francia”.
Anche il Wall Street Journal parla di potenziali squilibri sul piano economico internazionale. “Il referendum si è trasformato in un voto di fiducia sulla capacità del governo Renzi di rilanciare l’economia”, sottolinea il Wsj, citando poi Wolf von Rotberg, analista economico di Deutsche Bank, secondo cui l’esito referendario “servirà a impostare il tono per il 2017 sul clima politico e gli investimenti in Italia e in Europa”.
Wall Street Journal: “Se vince il no, meglio un altro governo tecnico”. Mentre per il Financial Times la chiave sta in un ripensamento della politica europea e nella creazione di un piano economico e finanziario veramente condiviso dai Paesi membri, il Wall Street Journal pensa al dopo referendum costituzionale ed auspica l’istituzione di un governo tecnico, dopo quello di Monti dal 2011 al 2012. Tutto, pur di non far vincere il M5S, “partito antiestablishment che punta a rinegoziare il debito italiano e a indire un referendum sull’euro, destabilizzando tutto il sud Europa”.
Peccato che quello del Governo tecnico sia un’opzione che il premier Matteo Renzi ha respinto con decisione a più riprese, l’ultima volta in un’intervista questa mattina ad Oscar Giannino.
“Ci siamo spaccati la schiena – ha affermato Renzi ai microfoni di Radio 24 – ora, o l’Italia gioca d’attacco oppure se dobbiamo continuare con ‘ce lo chiede l’Europa’, riprendetevi il governo tecnico erano così bravi loro…”.
Infine, al New York Times che ritiene che il vero problema dell’Italia non sia il referendum ma la debolezza del sistema bancario, ha risposto lo stesso Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: “La maggior parte dei crediti in Italia è sostenuta da garanzie reali. Le banche sono il sintomo di sette anni di recessione continua, non la causa”.
P.M.
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