Un grido di sofferenza, simbolo di un esilio forzato pregno di solitudine, sta dietro al sacrificio di un giovane tibetano che si è dato fuoco a Kathmandù, in Nepal, dinnanzi a un tempio Buddista. È solo l’ultimo di una lunga serie, il centesimo dalla repressione cinese del 2008, in concomitanza con il centenario dell’indipendenza del Tibet. L’ennesimo tentativo per richiamare l’attenzione della comunità internazionale che sembra cadere nel vuoto. Il primo ministro degli esteri in esilio,Losbang Sangay, ha sospeso le manifestazioni in programma per il nuovo anno lunare: “Non abbiamo nulla da festeggiare”, ha detto. Il 13 gennaio del 1913 il Tibet proclamava la sua indipendenza. Cento anni dopo, il 13 gennaio 2013 la guida spirituale, il Dalai Lama, parla di genocidio culturale e distruzione di una civiltà millenaria. Dall’annessione del territorio, alla massiccia migrazione della popolazione cinese passando per l’imposizione dell’educazione comunista, stanno emarginando il popolo tibetano dalle sue radici e dalle sue tradizioni. Una trasformazione da maggioranza, a minoranza etnica in quello che era lo stato indipendente tibetano. In risposta al radicamento dell’opposizione pacifica tibetana al regime, sempre più crescente, Pekino ha risposto mettendo 1800 monaci sotto la gestione diretta di una commissione mista, formata dai religiosi meno “belligeranti” e integerrimi funzionari comunisti. In questi giorni a decine sono stati arrestati con l’accusa di promuovere il sacrificio estremo per perorare la causa. Le autorità hanno addirittura nominato Lhasa, la capitale tibetana, “la città più felice del paese” per il quarto anno di fila. Rassicurano e assicurano che il dominio cinese della regione, ha portato tanti privilegi alla popolazione. Costruzioni di ospedali, infrastrutture, scuole, miglioramento della vita dei cittadini, l’eliminazione del passato feudale e teocratico governato sotto la guida spirituale dei lama. Oggi sono i Bonzi più giovani, addirittura minorenni, la speranza del popolo. Sono considerati i nuovi eroi della causa, tanto che un numero crescente di essi giungono alla conclusione che solo l’estremo sacrificio può dar loro visibilità internazionale necessaria a risvegliare le coscienze di un Occidente sordo alle richieste di indipendenza.
Il governo cinese ha inasprito le sua posizione nel 2008 quando, interrompendo decenni di resistenza pacifica, un numero ristretto di persone attacco i commercianti e le comunità cinesi per le strade della capitale tibetana. La risposta di Pekino fu aumentare i controlli, sentenziare pene di morte ai presunti colpevoli, limitare il tempo alle preghiere estendendo sempre a più fasce di popolazione il programma di rieducazione per “l’amore per la patria”. Le foto del Dalai Lama, prima tollerate, vengono poste sotto confisca, la censura è ovunque, dalla radio alle comunicazioni. E la sensazione che non siano le sanzioni o il silenzio della comunità internazionale a esser loro nemico, ma che sia il tempo a esaurirsi per le sorti del Tibet, prende forma ogni giorno di più.
E.S.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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