Hillary Clinton vince ai punti il primo round della sfida tv con Donald Trump. Secondo la maggior parte dei commentatori, il duello fra i due candidati alle presidenziali USA del prossimo 8 novembre ha visto prevalere l’ex first lady ed ex Segretario di Stato contro il miliardario newyorkese. Trump, a sua volta, ha dimostrato di saper imparare dai suoi errori e di non essere affatto spacciato nella corsa alla Casa Bianca.
Al testa a testa è mancato il colpo del KO, la battuta fulminante che convince gli indecisi. Ma la Clinton è stata più abile a parare gli attacchi di Trump, che al contrario ha annaspato più volte.
La Clinton è sembrata più a suo agio sul palco e più in forma, fatto in sé abbastanza sorprendente: dal malore a New York – quando è stata costretta ad ammettere di soffrire di polmonite – sono passate appena due settimane. Ha stravinto sul piano del look, anche grazie al completo rosso acceso: colore che rimanda all’aggressività e al vigore, ma soprattutto, negli USA, colore degli avversari repubblicani. Viceversa, Trump si è presentato in un completo scuro con cravatta azzurra che voleva essere rassicurante, ma ha finito per non bucare lo schermo, e non ha mai smesso di tirare su col naso: dettaglio probabilmente da imputare a un banale raffreddore, ma che lo ha fatto apparire più in difficoltà di quanto già non fosse sul piano dialettico.
Moderato da Lester Holt – un veterano di NBC, repubblicano dichiarato, ma che ha fama di non guardare in faccia nessuno – il dibattito è durato 90 minuti ininterrotti, divisi in tre blocchi: il primo concentrato su questioni economiche, il secondo sugli affari interni e sulla società, l’ultimo sulla politica estera.
Nel primo segmento Trump ha messo a segno il suo colpo migliore quando ha rinfacciato alla Clinton il suo sostegno agli accordi di libero scambio internazionale: dal NAFTA – il trattato che ha istituito una zona di libero scambio fra USA, Canada e Messico, firmato da suo marito Bill Clinton quando era presidente – al TPP, l’accordo con undici Stati del Pacifico arenato al Congresso da un anno, cioè da quando la Clinton, contro il parere del presidente Barack Obama, lo ha sconfessato. Trattati di questo genere, sostiene Trump, danneggiano il mercato del lavoro USA perché spingono gli imprenditori a spostare le produzioni in Stati dove possono permettersi di pagare salari più bassi. Il candidato repubblicano è stato uno dei primi esponenti politici a intercettare questo filone polemico. Ma stanotte, quando Holt gli ha chiesto cosa avrebbe voluto fare per riportare in America i posti di lavoro delocalizzati, non ha saputo andato oltre generici attacchi al Messico e alla Cina. E quando ha provato a mettere sul piatto della bilancia la sua esperienza da imprenditore, la Clinton è riuscita a rovesciargliela contro: lo ha dipinto come un privilegiato nato in una famiglia ricchissima, ha ricordato il prestito di 14 milioni di dollari ricevuto dal padre all’inizio della sua carriera e lo ha accusato di essere il primo candidato presidente in quarant’anni a non pubblicare la sua dichiarazione dei redditi.
Perché non diffonde le sue dichiarazioni dei redditi? Ecco qualche ragione possibile. Primo, forse non è così ricco come dice di essere. Secondo, forse non è così generoso come dice di essere. Terzo, per quel poco che ne sappiamo, sappiamo che deve 650 milioni di dollari a Wall Street e a banche straniere. Oppure non vuole che sappiate che per anni non ha pagato le tasse federali.
Trump ha provato a uscire dall’angolo attaccando la Clinton sullo scandalo delle email, ma l’ex Segretario di Stato ha contenuto le perdite: ha ammesso le proprie responsabilità e ha detto di non voler cercare scusanti. Poi lo ha messo alle corde quando gli ha rinfacciato di aver definito il riscaldamento globale “una bufala inventata dai cinesi”. A Trump non è rimasto altro da fare che negare l’evidenza (i tweet con le fantasiose accuse si possono ancora consultare online).
La seconda parte del dibattito, sulle questioni di ordine pubblico e di politica interna, è stata la meno combattuta. La Clinton non ha calcato troppo la mano sulle rivendicazioni delle minoranze etniche: ha preferito ricordare che “tutti dovrebbero essere rispettati dalla legge e tutti dovrebbero rispettare la legge”.
Trump ha detto di sostenere lo stop-and-frisk, la discussa prassi per cui la polizia può fermare e perquisire chiunque voglia; ma ha continuato a difenderla anche quando Holt gli ha ricordato che “è stata giudicata incostituzionale a New York, perché prendeva di mira soprattutto giovani neri e ispanici”, definendo “molto contro la polizia” la giudice che ha emesso la sentenza. Si è ripreso, sorprendendo chi si aspettava una delle sue provocazioni, quando si è dichiarato d’accordo con la Clinton su molti punti di ordine pubblico, soprattutto sull’intenzione di vietare a chi ha precedenti penali di portare armi.
La Clinton ha messo a segno un altro punto importante sul Birtherism, la teoria del complotto secondo cui il presidente Obama non sarebbe nato alle Hawaii ma all’estero (e quindi non si sarebbe potuto presentare alle presidenziali). Trump è stato uno dei principali sostenitori della tesi, anche quando Obama ha pubblicato il suo certificato di nascita nel 2011, e l’ha sconfessata solo pochi giorni fa. Alla Clinton è bastato lasciare che si mettesse in difficoltà da solo: prima l’ha accusata di aver messo in giro la voce per prima, quando erano rivali alle primarie democratiche del 2008, poi ha sostenuto di aver risolto lui la questione “costringendo” Obama a pubblicare il certificato, e in generale non è mai sembrato convincente e convinto.
La sezione sulla politica estera è iniziata con un autogol di Trump, che mentre accusava la Clinton di essere responsabile della nascita dell’ISIS ha proclamato di non aver mai sostenuto l’intervento armato USA in Iraq. Quando Holt gli ha fatto notare che non è vero, lui ha accusato i media di essere “il miglior alleato” della campagna della Clinton.
Trump è apparso confuso anche sulla sicurezza informatica: la candidata democratica gli ha rinfacciato le sue posizioni troppo amichevoli con la Russia di Vladimir Putin, accusata di aver scatenato attacchi informatici contro il suo sito; lui è arrivato a citare suo figlio Barron, che “ha dieci anni e con i computer è bravissimo”.
In coda al dibattito la Clinton è riuscita a volgere a suo vantaggio l’accusa, fatta tempo fa da Trump, di non avere “un aspetto presidenziale”. Messo alle strette da Holt, Trump ha fatto riferimento alla “resistenza fisica”, ma la Clinton gli ha ribattuto di aver “viaggiato in 112 Paesi, negoziato un trattato di pace, un cessate il fuoco, la liberazione di dissidenti politici, l’apertura di nuove opportunità per le nostre imprese, o anche solo passato 11 ore a testimoniare davanti a una commissione del Congresso”. L’ultimo attacco dell’ex Segretario di Stato ha riguardato le accuse di maschilismo nei confronti di Trump:
Questo è un uomo che ha chiamato le donne ‘cagne’, ‘maiali’. È uno che ha detto che le gravidanze sono un problema per i datori di lavoro.
Clinton e Trump torneranno faccia a faccia il 9 ottobre a St. Louis, Missouri. Nel frattempo, il 4 ottobre è in programma il confronto tra i due candidati alla vicepresidenza, il repubblicano Mike Pence e il democratico Tim Kaine. L’ultimo duello prima del voto – come detto, in programma per l’8 novembre – si terrà il 19 ottobre a Las Vegas, Nevada.
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