Spaventa i mercati, l’ipotesi Grexit. Non c’è però soltanto Atene a rappresentare una fonte di rischio per gli investitori internazionali. La frana dei mercati asiatici, trascinata dal crollo della borsa cinese iniziato lo scorso 12 giugno, sembra inarrestabile. Nemmeno le misure imposte dal governo di Pechino sembrano avere effetti di contrasto a questo trend che, da metà del mese scorso, ha portato i mercati asiatici a bruciare il 30% della capitalizzazione.
Le chiusure dei listini sono un bollettino di guerra: Tokyo si è fermata a -3,14%, Shanghai a -5,9%, Hong Kong ha fatto registrare un -5,84%. Secondo l’agenzia Bloomberg, sono state sospese dalle contrattazioni circa 1300 titoli, quasi la metà di quelli quotati a Shanghai, nel tentativo di contenere le perdite. Oltre 500 quelli sospesi solo nella ultima sessione di contrattazione.
Le autorità di regolamentazione del mercato cinese hanno tentato di minimizzare il problema parlando, nella mattinata, di vendite dettate dal panico, ma visto l’esito della seduta gli effetti sortiti non sono stati quelli attesi.
La risposta è arrivata dal Governo, che ha proceduto a un – ulteriore – intervento per evitare di bruciare altre risorse. E’ stato infatti ordinato l’acquisto di azioni da parte delle compagnie statali e aumentata la soglia di titoli rilevabili delle compagnie di assicurazione. Peoples Bank of China ha invece garantito che sosterrà il mercato con “ampia liquidità”.
Il timore, nemmeno troppo infondato, è quello di dover affrontare una crisi sistemica più profonda e pesante e non solo l’esplosione di una bolla speculativa di un mercato da settimane ormai al ribasso e che rischia di investire anche quei milioni di cinesi che hanno visto nell’azionario una possibilità di guadagno.
E proprio per verificare se ci siano state manipolazioni da parte di speculatori, la Csrc – l’organismo cinese di controllo equivalente alla Consob – ha avviato una indagine.
Una crisi che, secondo alcuni analisti, è ben peggiore e più rischiosa di quella greca: Jeremy Warner, analista del Daily Telegraph, paragona quanto sta accadendo in Cina alla crisi che mise in ginocchio gli Stati Uniti nel 1929 e, anzi, relega a “pantomima” quanto sta avvenendo nel vecchio continente.
“Il contesto macroeconomico è sorprendentemente simile – spiega Warner – Allora, come ora in Cina, lavoratori rurali sono emigrati in grandi quantità nelle città con la speranza di trovare condizioni di vita più vantaggiose nei settori industriali in via di sviluppo”. Negli anni ’20 negli Usa la crescita esponenziale ispirava “le famiglie a investire in questi settori, inseguendo quei profitti apparentemente generosi che stavano generando”.
Per Warner, dunque, la crescita della Cina negli ultimi decenni sta già dando segnali di rallentamento nei meccanismi di domanda e offerta simili proprio a quelli registrati prima dell’esplosione della crisi del ‘29.
L’analista paragona l’economia cinese a “uno di quei personaggi dei cartoni che continua a correre anche dopo aver lasciato il bordo del burrone, salvo poi guardare in basso e piombare nel baratro”.
Il cammino della ripresa, annunciato più volte dalle diverse istituzioni, rischia così di essere messo alle strette: da una parte, l’ipotesi Grexit e la scadenza posta dall’UE ad Atene, dall’altra la crisi di volatilità dei mercati asiatici.
In questo scenario, l’incertezza, soprattutto negli scambi finanziari, la fa dunque da padrone. Mentre i mercati del sol levante crollano, in Europa si cerca il rimbalzo e dopo giorni di rosso e segni meno, Milano fa segnare un incoraggiante +2,64%. Londra e Francoforte salgono dello 0,6%, Parigi dello 0,8%. Segno meno per Wall street che cede all’apertura un punto percentuale.
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