I ribelli iraqeni sconfinano in Siria: il 29 maggio scorso un manipolo di soldati dell’Isis, il gruppo sunnita che sta terrorizzando il Paese, avrebbe rapito centoquarantacinque bambini in una regione del nord della Siria. La denucia, resa nota soltanto oggi dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani Ondus, parla di studenti kurdi sequestrati al rientro da scuola, sulla strada tra Aleppo e Minbej, diretti a Kobani dopo aver sostenuto gli esami di fine anno. I genitori dei piccoli, che già nelle settimane precedenti avevano ricevuto minacce e intimidazioni dai miliziani, sono convinti che i figli siano stati presi dai jihadisti per diventare kamikaze. I ribelli, infatti, che già controllano alcune aree del nord della Siria, mirano a costituire un califfato islamico tra Iraq e Siria anche mediante attacchi terroristici, come stanno già facendo nella zona di Baghdad.
Ai centoquaranticinque bambini vanno aggiunti altri duecento civili curdi, rapiti anch’essi negli stessi giorni a Qubasin, piccolo centro poco distante da Aleppo; alcuni sarebbero riusciti a fuggire e avrebbero raccontato di come i miliziani avessero iniziato subito a impartire una rigida disciplina coranica “sulla jihad contro i nemici di Allah e gli apostati“. Altre denunce delle organizzazioni internazionali presenti sul territorio parlano di attacchi ripetuti sui civili, anche con “agenti chimici tossici, molto probabilmente irritanti polmonari come il gas cloro, usati in maniera sistematica in un certo numero di attacchi”.
Preoccupate da questi sequestri, alcune compagnie petrolifere hanno deciso di evacuare prte del personale in Iraq, anche a seguito dell’attacco dei jihadisti alla principale raffineria a nord della capitale. L’esercito iraqeno avrebbe indietreggiato di fronte alla massiccia offensiva dei ribelli che, prima di prendere possesso del complesso petrolifero di Baiji, avrebbero distrutto numerosi riserve di petrolio. Le forze armate lealiste, però, avrebbero recuperato la città di Falluja, caduta in mani jihadiste nei giorni scorsi, e causato la morte di duecentocinquanta miliziani. Il bollettino di guerra parla anche di bombardamenti su Tikrit, soprattutto sull’ospedale di Medicins sans frontieres, che ha lasciato senza assistenza sanitaria più di quarantamila persone.
Grande preoccupazione, a livello internazionale, dopo queste dichiarazioni: il premier inglese David Cameron ha promesso di aumentare i fondi umanitari a favore delle popolazioni iraqene, per un totale di cinque milioni di sterline. Il primo ministro iraqeno, Nuri al Maliki, incoraggiando l’esercito governativo che sta combattendo contro i ribelli, ha parlato di un “complotto”, riferendosi alla presa di Mosul da parte dei terroristi sunniti. E il presidente Barack Obama si dice pronto all’invio di droni sulle zone interessate del Golfo Persico per monitorare costantemente la situazione. E il presidente iraniano Hassan Rohani assicura supporto all’Iraq nella difesa dei luoghi santi sciiti, mettendo anche “in guardia le potenze e i loro lacchè, i terroristi e gli assassini”, chiaro messaggio proprio all’America di Obama, che fino a poche ore fa non escludeva l’intervento militare in Iraq.
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