La possibilità che l’Italia partecipi ai raid in Iraq contro l’ISIS divide il mondo politico italiano. Le istituzioni ribadiscono compatte: prima di prendere qualsiasi decisione si dovrà consultare il Parlamento.
Una mossa “ovvia e doverosa” secondo il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, “normale” per la titolare della Difesa Roberta Pinotti e auspicata dalla presidente della Camera Laura Boldrini.
“L’Italia non ha preso nuove decisioni sull’utilizzo dei nostri aerei – ha dichiarato ieri sera Gentiloni – “e se dovesse prenderle il governo non lo farebbe di nascosto”.
Il ministro ha colto l’occasione per dire la sua sull’azione militare russa in Siria, l’iniziativa che una settimana fa, cogliendo di colpevole sorpresa i governi europei, li ha costretti a prestare attenzione all’ISIS.
In linea di massima, sostiene Gentiloni, “va bene coinvolgere la Russia, perché può contribuire alla transizione politica in Siria”; ma la scelta di colpire “bersagli controversi” – i ribelli finanziati dalla NATO contro l’autoproclamato Stato islamico, ma anche contro il regime di Bashar al-Assad – ha dato luogo a “situazioni molto critiche”, e gli sconfinamenti degli aerei nei cieli della Turchia, ossia nello spazio aereo della NATO, sono “molto pericolosi”.
Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella , intervistato ieri dall’agenzia russa TASS, si era appellato alla “collaborazione di tutti i Paesi”, aveva condannato le iniziative unilaterali e invocato “una risposta con la forza e una risposta culturale”.
Oggi, in Italia sono finiti in primo piano i motivi che possono spingere lo Stato ad accettare un ruolo più impegnativo nella coalizione a guida USA. Coalizione di cui facciamo già parte, ma solo con compiti di formazione, ricognizione e fornitura di armi e altro materiale.
Il sospetto di Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana disarmo, è che si tratti solo di una mossa del ministero della Difesa nell’eterno braccio di ferro con il Tesoro per i finanziamenti militari.
Nei giorni scorsi il titolare del Tesoro Pier Carlo Padoan aveva criticato le dimensioni della voce di bilancio riferita al dicastero di Roberta Pinotti: 23 miliardi di euro, giudicati “non coerente con le effettive necessità”.
Il taglio previsto era nell’ordine di grandezze del mezzo miliardo, ma il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi aveva comunque risposto che qualsiasi riduzione avrebbe finito per “incidere direttamente sull’efficienza delle forze armate”.
La missione italiana in Iraq – battezzata Prima Parthica – è stata approvata dal Parlamento nell’estate del 2014 solo come invio di armi e aiuti ai peshmerga, i miliziani curdi fedeli alleati di Washington, in chiave anti-ISIS. Da allora la sua portata è lievitata: abbiamo inviato in Iraq due droni Predator, un aerocisterna KC-767, più di 500 uomini e quattro cacciabombardieri Tornado, il cui impiego costa 28 mila euro l’ora . Come si è detto, questi ultimi partecipano alle missioni solo con compiti di ricognizione e designazione obiettivi: a scanso di equivoci, non hanno a bordo armi adatte a bombardare obiettivi a terra.
A sostegno della tesi di Vignarca si sono espressi diversi membri dell’opposizione. È il caso di Massimo Artini (Alternativa Libera), vicepresidente della Commissione Difesa della Camera, e del pentastellato Luca Frusone, che ha parlato di “colpo di reni dei militari per giustificare la necessità di finanziamenti”.
Il compito del ministro Pinotti, che oggi pomeriggio riferirà a Montecitorio sullo stato delle missioni militari italiane all’estero, si preannuncia dunque impegnativo.
Anche il generale in pensione Fabio Mini, già comandante della missione NATO in Kosovo, giudica plausibile la tesi per cui la manovra serva a scongiurare tagli alla difesa. Ma con ogni probabilità – suggerisce il generale – ci sono anche altre ragioni in gioco. Prima fra tutte, ottenere un riconoscimento dagli altri alleati in cambio di un impegno più serio, ed evitare di fare la figura di chi sulla carta fa parte della coalizione, ma sul campo sta solo a guardare o poco più.
In altre parole, l’impiego di un totale di quattro bombardieri – magari in un teatro di operazioni non particolarmente caldo, lontano da grandi città e campi petroliferi – non farà girare il vento della guerra, ma potrebbe tornare buono all’Italia se alla fine delle ostilità arriverà il momento di dividere la torta fra gli alleati.
Sostanzialmente d’accordo è Lucio Caracciolo, direttore di Limes, convinto che la ricompensa per un impegno più consistente in Iraq possa essere un coinvolgimento maggiore in Libia, paese dove abbiamo interessi strategici più importanti.
Filippo M. Ragusa
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