Chiesa deturpata da troppe divisioni e personalismi, da rivalità e lotte di potere. Nel cercare di spiegare le ragioni di un gesto nobilissimo ed inammissibile per una istituzione che accetta il martirio ma non certo l’uscita di scena per il pastore, per la guida che, grazie alla provvidenza divina (nell’esercizio delle sue funzioni), di umano deve avere poco o nulla, Benedetto XVI non ha cercato attenuanti. Ha voluto dire e consacrare con le dimissioni la “sua” verità fatta di dolorose ammissioni e sofferte analisi. Piuttosto che guidare una Chiesa malata, connotata al suo interno da lotte di potere e “ ipocrisia religiosa di chi vuole solo apparire e cerca l’applauso degli altri” Papa Ratzinger ha preso la strada dell’oblio, la strada del ritorno al Padre naturale. Ha deciso di andare via con l’umiltà e la forza di un grande uomo che lascia al suo successore la scelta di lasciare una Chiesa nel guado o innovarla profondamente per affrontare le sfide del terzo millennio. Ratzinger va via passando un testimone carico di dubbi e nella consapevolezza che il nuovo successore di Pietro dovrà affrontare con coraggio e lucidità il capitolo di un cambiamento che la crisi dell’uomo, prima ancora di quella dei credenti oggi reclama con rabbia. Con le dimissioni, il Papa, fine teologo, sa di aver aperto una partita fondamentale per il futuro della Chiesa che rispetto alle profonde e velocissime trasformazioni in atto nel mondo, non potrà e non dovrà lasciarsi cogliere impreparata. Da qui l’invito ad una rifondazione nel nome di Cristo che i centri di potere radicati in Vaticano non potranno ignorare, a cominciare dalla scelta del suo successore.
Alessandra Angeletti
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