In Spagna è finita l’era del bipartitismo, che durava da quarant’anni, dalla caduta della dittatura di Francisco Franco.
Le elezioni amministrative di ieri hanno sancito la sconfitta del Partito popolare, che – pur rimanendo il più votato – ha perso la maggioranza assoluta quasi ovunque e sarà costretto, per la prima volta nella storia della Spagna democratica, a formare coalizioni con i partiti minori.
Salgono invece alla ribalta i partiti nati “dal basso” negli ultimi anni: Ciudadanos, la piattaforma antinazionalista di Albert Rivera, e Podemos, nato dalle proteste di piazza del 15 maggio 2011. Il movimento degli ex-Indignados in particolare è l’ago della bilancia: alleandosi con il Partito socialista potrebbe scalare la maggioranza in diversi comuni, e spostare a sinistra il baricentro politico del paese in vista delle elezioni politiche, in programma per novembre prossimo.
Questa tornata elettorale ha rinnovato tutti i consigli comunali – più di ottomila – e tredici delle diciassette Comunità autonome in cui è diviso il territorio spagnolo, analoghe alle nostre regioni.
Il primo partito nazionale, come si diceva in precedenza, è ancora il Partito popolare, con il 27% dei voti espressi; segue il Partito socialista con il 25%; terzi i Ciudadanos con il 7%.
Popolari e socialisti, i due partiti storici di centrodestra e centrosinistra, hanno perso nel complesso più del 10% dei voti che avevano ottenuto alle precedenti amministrative del 2011.
“Pp e Psoe hanno registrato uno dei peggiori risultati della loro storia”, ha dichiarato Pablo Iglesias, leader di Podemos: “Il cambiamento ora è irreversibile”.
Gli ex-Indignados non partecipano a questa statistica, perché non si sono presentati alle elezioni locali con il proprio simbolo, ma appoggiando candidati di liste civiche formalmente indipendenti.
Ciononostante, è proprio il movimento viola ad aver fatto il balzo in avanti più lungo.
Emblematico del nuovo corso della politica spagnola è quello che è accaduto o potrà accadere nel comune di Madrid. La candidata popolare Esperanza Aguirre è arrivata prima con 20 consiglieri su 57, ma non otterrebbe la maggioranza assoluta nemmeno se il suo partito stringesse un’alleanza con Ciudadanos, che ne ha ottenuti sette. A governare la capitale potrebbe essere quindi l’ex giudice e paladina dei diritti umani Manuela Carmena, della lista Ahora Madrid, appoggiata da Podemos: è arrivata seconda ottenendo 19 seggi, uno solo meno di Aguirre, ma se il suo partito riuscirà ad accordarsi con i socialisti ne avrà a disposizione 29 e una risicata maggioranza.
A Barcellona, Podemos ha vinto da solo: il nuovo sindaco è Ada Colau, fondatrice di un movimento contro gli sfratti, che si è presentata con la lista civica Barcelona en Comú. Succede al nazionalista catalano Xavier Trias.
Fra gli altri comuni che un’eventuale coalizione Podemos-PSOE strapperebbe al Partito popolare ci sono Siviglia, quarta città del Paese, che andrebbe al candidato socialista, e due roccheforti del centrodestra come Cadice, in Andalusia, e La Coruña, in Galizia, la terra del premier Mariano Rajoy.
La stessa coalizione potrebbe togliere ai popolari il controllo di sei Comunità autonome: Aragona, Baleari, Cantabria, Castiglia-La Mancha, Estremadura e Valencia.
Stringendo un accordo del genere i socialisti riuscirebbero ad approfittare della perdita di consensi dei rivali popolari. L’alleanza, tuttavia, avvantaggerebbe ancora di più Podemos, che potrebbe confermarsi ago della bilancia anche in occasione delle prossime elezioni politiche.
Da parte loro, i Ciudadanos hanno approfittato della loro versatilità ideologica per proporsi come alleati sia ai popolari sia alle sinistre.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha commentato i risultati del voto in Spagna e la contemporanea affermazione dei nazionalisti in Polonia come segnali della volontà di cambiamento da parte degli elettori.
“Il vento della Grecia, il vento della Spagna, il vento della Polonia non soffiano nella stessa direzione – ha detto il premier ai microfoni di Rtv38 – “Soffiano in direzione opposta, ma tutti questi venti dicono che l’Europa deve cambiare”.
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