Ricordo ancora, con vivido raccapriccio, la miserevole ‘performance’ della corrispondente della nostra monocolore e monocorde tivù di stato – la vestale ‘rossa’ Giovanna Botteri, una Boldrini dell’ elettrodomestico – al ‘ferale’ annuncio della vittoria di Donald Trump alle presidenziali d’ Oltreoceano. Gli occhi spiritati – smarrita e scarmigliata – l’ onnipresente collega, scatenata come tutte le ‘pasionarie’ che si rispettino, non si capacitava di come quel pericoloso ‘mostro’ avesse convinto gli americani. Frignava e si incavolava, l’ intoccabile della Rai di New York, e ripeteva che non era possibile che il popolo ‘yankee’ avesse ignorato le accorate raccomandazioni della stampa ‘progressista’ dell’intero pianeta, che – da mesi, lei compresa naturalmente – lo aveva debitamente bombardato, mettendolo in guardia dai malefici del nefasto ‘tycoon’.
A distanza di un anno e mezzo, mentre l’ ex ‘improponibile’ outsider, inviso ai ‘poteri forti’ ed estraneo agli esclusivi circoli adusi a dettar legge, è assai cresciuto – tra mille tempeste – nella considerazione dei connazionali, l’ editorialista bruxellese della disorientata “Repubblica”, orfana inconsolabile della fu sinistra, non trova di meglio che inserire a pieno titolo ‘The Donald’ tra “i despoti che assediano l’ Europa”. Andrea Bonanni – il ‘Montanelli della UE’, anche lui disorientato da novità che non afferra e non gradisce – mette sullo stesso esattissimo piano il turco Erdogan, il cinese Xi Jinping, il russo Putin (uno che – peraltro, bene o male – è fresco reduce dalla quarta incoronazione popolare) e il satanico Trump. Come se gli USA non fossero una ben salda e invidiata democrazia, super-garantita da un intrico di ‘pesi e contrappesi’, dove nessuno – nemmeno il Presidente – può arrogarsi un potere assoluto.
Un neurologo la chiamerebbe “sindrome maniaco-depressiva” da disfatta elettorale. Infortuni che capitano a chi crede di detenere il Verbo. Tranquilli, comunque… Da parte mia, nessuna velleità biografica (si è gia’ scritto a bizzeffe su di lui), né intenti agiografici… Solo un modesto tentativo di ripristinare la misura delle cose. Perché è innegabile che il funambolico Donald – prossimo alle 72 primavere – sia un personaggio controverso e che spesso i suoi modi non siano propriamente garbati e le sue ricette appaiano più umorali che ragionate. Ma basta col limitarsi a pontificare che l’ imprenditore abile e spregiudicato, l’ ex-conduttore televisivo istrionico e aggressivo abbia prevalso su Hillary Clinton, alfiere dell’ “establishment” e della stanca continuità democratico-obamiana, solo perché ha parlato alla ‘pancia’ degli elettori, stimolandone i meno nobili istinti! ‘The Donald’ – l’ “uomo nero” per le esclusive elites col naso all’ insu’ di Manhattan e San Francisco – è andato molto più in là: ha disseppellito e rianimato lo sbiadito sogno americano, ha riscoperto e rilanciato a muso duro l’ identità e gli interessi nazionali, minacciati e messi all’ angolo dall’ esasperato mondialismo di Barack Obama, raffinato e carismatico ideologo delle ‘porte aperte’ anzi spalancate, difensore per antonomasia dei deboli, dei poveri e dei ‘diversi’, non altrettanto disponibile ad ascoltare la voce della sterminata classe media, risucchiata all’ indietro da un’ economia inceppata e da una spesa sociale esorbitante. Buona parte degli americani non ne poteva più di quelle pur seduttive concioni ‘radical chic’ e di quella tentennante e cedevole politica estera, che sarebbero state reiterate pari pari da quella furbona di Hillary, lo smagliante maritino ex-Casa Bianca sempre accanto, vigile e premuroso.
Per questo è arrivato il ‘cattivo’. Col suo martellante “America first”, l’ America prima di tutto. Alla faccia dei felpati “signorini per bene” che lo avevano preceduto, alla faccia degli stessi repubblicani – gli ‘amici’ di partito – che non si fidavano della sua incontrollabile autonomia, alla faccia di chi preferiva una Washington sottovoce. Lui ha smosso, urlato, spaccato. Con scelte discutibili, certo. L’ attacco a quel poco di ‘stato sociale’ costruito da Obama e ai diritti acquisiti dai ‘dreamers’ (i cinque milioni di immigrati ormai stanziali e vogliosi di cittadinanza). Lo ‘scandaloso’ muro per frenare l’ assalto dei messicani e degli altri ‘latinos’ inclini al crimine. La riforma fiscale su misura per imprese e investitori. Tutti ingredienti di quello sfrontato “Make America great again!” – ‘Rendiamo di nuovo grande l’ America!’ – che possono piacere o non piacere, che gli hanno attirato anatemi e consensi. Buonismo accantonato. Una stagione di ‘egoismo’, condannata o osannata.
Egoismo ‘sano’ per decine di milioni di americani in affanno; egoismo ‘brutale’ per gli alfieri del ‘politically correct’. Medicine amare per un ‘malato grave’. Ricette somministrate bruscamente. Che hanno rimesso in marcia un paese rallentato. Impulso all’ economia, più occupazione, stipendi e salari dell’ ‘aristocrazia operaia’ in crescita. Un circuito virtuoso, che ha lasciato fuori (per ora) ampie fasce di disagio sociale. Alto prezzo pagato alla ripresa. Ma ripresa… Anche il ‘valzer’ infinito, e imbarazzante, nelle poltrone-chiave dello ‘staff’ rientra nel copione trumpiano. Via chi non è fedele, chi non è convinto, chi mormora e trama. No alle ‘serpi in seno’. Insicurezza e confusione, o la ferrea volontà di lavorare con armonica efficacia? Avvicendamenti che hanno lasciato, e lasceranno il segno, soprattutto nello scacchiere internazionale.
I clamorosi arrivi (su tutti, Mike Pompeo – prelevato dal vertice CIA – e John Bolton, ex-‘falco’ anti-Saddam) garantiscono al “comandante in capo” unità e fermezza di intenti (anche troppa?) nelle crisi piu’ spinose, dalla Corea del nord al nucleare iraniano, passando per quella Russia di Putin con cui ‘The Donald’ sembra attento a non spegnere il dialogo, incurante dei sospetti scaturiti dal pasticcio del ‘Russiagate’, una spada di Damocle su di lui. E la sua ‘guerra dei dazi’ – contro il sorpasso tecnologico della Cina e i ‘favori’ agli europei – taglia il mondo e rischia di spezzare fili. Ricompresa in quell’ “America first” che galvanizza i ceti medi USA, ma che sta provocando un insidioso ‘risiko’.
Per tutte queste ragioni le stanno studiando di cotte e di crude per disarcionarlo anzitempo. Magari facendolo scivolare sulla buccia di banana apparentemente più irrilevante. Uno scandalo ‘a luci rosse’ che possa seriamente impigliare il Presidente dai bollenti spiriti. L’ ultimo, di questi giorni, è particolarmente pesante e inquietante. Sarebbe davvero un epilogo inglorioso. E, in fin dei conti, immeritato. Ma non si può escludere che finisca così.
Giovanni Masotti
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy