Niente più social network per i componenti della nostra nazionale di calcio. Certamente non leggeremo tweet e non avremo aggiornamenti delle pagine facebook da parte dei nostri atleti al Mondiale brasiliano. Lo ha deciso mister Prandelli che verificherà, in tandem con Albertini, anche l’opportunità di estendere queste restrizioni anche per il ritiro di novembre in occasione delle due amichevoli con Germania e Nigeria.
E’ costato caro a tutto il gruppo azzurro l’ultimo tweet di Balotelli in cui SuperMario ci ha fatto sapere che lui è e si sente solo un calciatore e non anche un simbolo della lotta alla camorra. Fondamentalmente, al netto di considerazioni sull’inopportunità di affermazioni fatte in un momento in cui si sta chiedendo ai nostri atleti di indossare provvisoriamente i panni di ambasciatori di pace, legalità, correttezza, buone maniere e chi più ne ha più ne metta, anche una dichiarazione onesta. A maggior ragione se proferita da un ragazzo di 23 anni, pur se privilegiato. Alla faccia del buonismo imperante che sconfina nell’ipocrisia quando, poi, la domenica, tutti i campi d’Italia si segnalano per un ricco florilegio di insulti, intemperanze e scorrettezze assortite.
Che i nostri calciatori comincino a dare il buon esempio all’interno del rettangolo verde. E’ quello il loro lavoro ed è in quella sede che devono mostrare maturità. Detto questo, non si vogliono trovare giustificazioni a certi atteggiamenti da prime donne un po’ viziate che molti dei nostri giocatori (non è un problema del solo Balotelli) tengono abitualmente. Meno che mai si possono tollerare reazioni rabbiose come quella di SuperMario nei confronti della troupe di Mediaset. Però non si può non constatare che la pressione mediatica esercitata sull’attaccante del Milan stia diventando asfissiante. L’impressione è che, anziché cercare di mettere i nostri atleti nelle migliori condizioni di serenità possibili, ci sia un perverso autocompiacimento dei media a sottolineare gli “scivoloni” del rossonero. Che arrivano con la puntualità di un orologio svizzero. Ma, uscendo dalle vicende legate a Balo, sbaglia chi conferisce agli atleti importanza e ruoli che non gli competono, che esulano dal loro ambito professionale per il quale vengono spropositatamente retribuiti, è vero. Ma dare calci ad un pallone, questo è il loro mestiere per il quale noi paghiamo il biglietto o l’abbonamento alla pay tv. Non fare gli ambasciatori dell’Unicef e dintorni, né essere simboli di chissà quale causa per nobile che sia. Al massimo, ambasciatori della propria squadra. Quanto al contenuto delle dichiarazioni si può sommessamente far presente ai novelli precettori del nostro calcio che siamo tutti un po’ stufi di sentire che: “Noi rispettiamo tutti ma non temiamo nessuno”, “Dove vorrei giocare? Dove deciderà il mister” e altre banalità assortite da lobotomizzati della pedata. Per cui sedicenti simboli di alti valori giudicati, implicitamente, inidonei a gestire dei “cinguettii” non potranno più utilizzare i social network? Credo ce ne faremo tutti quanti una ragione.
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