Il "derby della solitudine": entrambe le Curve vuote
Il primo (e si spera ultimo) derby della Capitale senza Curve è andato alla Roma: un 2-0 senza appello, quello inflitto ieri alla Lazio anche al netto di decisioni arbitrali vistosamente errate e che lascia i giallorossi in scia del binomio di testa, Fiorentina – Inter, mentre precipita i biancocelesti in una crisi da considerarsi ufficialmente aperta, dopo il terzo scivolone consecutivo tra i patri confini.
La partita, già di per sé brutta come e più che in altre stracittadine, si è disputata in un clima assolutamente surreale, con le sole tribune colorate. Francamente, uno spettacolo desolante, ferme restando le superiori esigenze di ordine pubblico che hanno partorito quelle misure restrittive causa della protesta (e della “diserzione” ) di entrambe le frange più calde del tifo. Le ragioni degli uni e degli altri sono da tempo note. In questa sede ci si limita ad osservare come lo “spezzettamento” delle Curve sia un provvedimento che finisce inevitabilmente con il danneggiare chi ultras non è e anche chi, tra gli ultras, non è un delinquente. Fermo restando che molti di costoro, anche se possessori di un tagliando o di una tessera, non possono in alcun modo avanzare la pretesa di considerare quell’area come “cosa propria”, sottratta allo Stato di diritto.
La Roma l’ha fatta propria semplicemente disputando una partita senza sbavature. Limitandosi a svolgere, bene per carità, il compitino. Nulla più. Davanti ha avuto un’opposizione che definire inconsistente è un eufemismo. La Lazio è stata certamente penalizzata in avvio dal penalty concesso da Tagliavento per un contatto fuori area ( sarebbe stato quello tra i piedi dei due giocatori, infatti, il contatto da sanzionare e non l’eventuale e successivo colpo ad altezza ginocchia occorso in corrispondenza della riga che è parte dell’area di rigore ) con conseguente incanalamento della gara sui binari più graditi alle frecce di Garcia, ma poi ha avuto ben 80 minuti a disposizione per organizzare una parvenza di reazione. Che, invece, si è esaurita con la traversa di Felipe Anderson. Poi, solo un paio di guizzi di Keita (è, e per distacco, l’uomo più in forma della rosa biancoceleste: perché in campo a sfida decisa? ) con errore (orrore) sotto misura di Klose (quanti, tra i tifosi biancocelesti, lo invocavano nell’intervallo al posto di Djordjevic, quando, semplicemente, le punte più in palla della Lazio sono le altre due ) quando ormai i titoli di coda stavano scorrendo. Detto questo, va anche sottolineato come il pessimo Tagliavento abbia avuto modo di scontentare anche l’altra sponda del Tevere, risparmiando il secondo giallo a Gentiletti (già ammonito in occasione del rigore-non rigore ) e poi, addirittura, sorvolando sul bruttissimo pestone di Lulic che potrebbe costare a Salah un capodanno anticipato. A proposito dell’egiziano, rispetto alla gara con il Bayer, forse in ossequio ad una regola non scritta dell’alternanza, lui e Gervinho si sono invertiti i ruoli: attore principale (non solo per la rete del raddoppio ) l’ivoriano, mera comparsa il nordafricano. Ma, evidentemente, invertendo l’ordine dei fattori, il risultato non ne ha risentito affatto. E anche questo è un indice della forza della Roma di quest’anno. Anche quando la squadra complessivamente gioca sotto tono e deve fare a meno di diversi pezzi da 90. A proposito, sino all’ingresso di Florenzi (obbligato, vista l’uscita di Salah ), nessun romano in campo tra le fila giallorosse. Di più, nessun italiano. Altra particolarità di questo già particolarissimo derby.
Quanto alla formazione di Pioli, ora che anche la certezza del talismano Olimpico è venuta meno, i problemi sono diventati troppo evidenti da poterli nascondere sotto il tappeto. Al di là di alcuni errori nelle scelte (dell’infelice rotazione tra le punte si è detto ), la mancanza di un piano B quando le gambe non girano come nella scorsa primavera e si è costretti ad un innaturale ricorso al lancio lungo è il limite principale di un campionario di strategie troppo limitato. Ma il tecnico è il minor responsabile. Qualcosa nello spogliatoio si è rotto e lo spirito di mutuo soccorso tra i giocatori non è più lo stesso. Probabile che, vicende di passaggio di fascia di capitano a parte, in diversi sognino altri ben più ambiziosi (e remunerati ) lidi. Con l’attuale società, difficile dar loro torto, peraltro. Il danno è stato fatto dopo quel Napoli-Lazio 2-4 che aveva proiettato la squadra in una possibile dimensione che la dirigenza ha ritenuto, evidentemente, non consona alle proprie disponibilità. Inutile continuare a piangere sul latte. Ne è stato già versato troppo. E in tempi non sospetti.
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