Sono almeno 37 le vittime dell’attentato di ieri ad Ankara, capitale della Turchia. Due di loro sono gli attentatori suicidi, che si sono fatti esplodere con un’auto carica di tritolo contro un autobus. I feriti invece sono 125, di cui 71 ancora ricoverati in ospedale.
L’attacco è avvenuto verso le 18.30 di domenica, davanti a una fermata affollata, in pieno centro, fra il parco Gulen e piazza Kizilay. Non è arrivata alcuna rivendicazione ufficiale, ma le autorità seguono la pista curda. Il primo ministro Ahmet Davutoglu ha affermato di avere “informazioni concrete sull’organizzazione terroristica” responsabile del “malvagio attacco”, grazie ai reperti ritrovati sul luogo e alle analisi dell’intelligence.
Una dei due attentatori era una donna, identificata grazie alle impronte digitali. Si chiamava Seher Cagla Demir ed era una militante del PKK, il partito degli indipendentisti curdi che pratica la lotta armata. Lo scrive Sozcu, un quotidiano diffusissimo, tutt’altro che vicino al presidente Recep Tayyip Erdogan. Iscritta all’università di Balisekir, nel nordovest del Paese, era sotto processo – in attesa della sentenza – insieme a quattro compagne di corso, fra cui tre sorelle.
Nel frattempo le forze dell’ordine hanno compiuto perquisizioni e un numero imprecisato di arresti.
L’attacco di ieri ha una dinamica simile a quello dello scorso 17 febbraio, sempre nel quartiere di Kizilay. In quell’occasione, però, l’obiettivo non furono civili, ma una camionetta carica di soldati: ne morirono 28, oltre all’attentatore e a un passante. Anche in quell’occasione le autorità avevano puntato il dito contro il PKK e il PYD, l’organizzazione dei curdi siriani che promuove l’autogoverno e combatte contro l’ISIS. Poi arrivò la rivendicazione del TAK, un’ala estremista che si è staccata dal PKK nel 2006. Il TAK è universalmente riconosciuto come formazione terroristica, a differenza dell’organizzazione madre, sulla quale i pareri dei governi sono contrastanti. Ma non è sulle liste di proscrizione della Turchia: le autorità di Ankara sono convinte che la scissione del 2006 sia solo un’operazione di facciata, e che il gruppo sia lo strumento di cui il PKK si serve per le attività impresentabili.
Il presidente Erdogan ha affidato la sua reazione a un comunicato in cui non accusa nessun gruppo in particolare. “A seguito dell’instabilità nella regione – scrive – negli ultimi anni la Turchia è stata oggetto di attacchi terroristici”. Ma promette: “Proseguiremo la lotta al terrorismo con ancora più determinazione”. Intanto, ieri sera l’aviazione turca ha ripreso a bombardare postazioni del PKK a Qandil e Gara, fra le montagne del Kurdistan iracheno.
Intanto, mentre i social media hanno ripreso a funzionare dopo i forti rallentamenti di ieri, in Turchia si torna a discutere della decisione dell’autorità radiotelevisiva statale di vietare la pubblicazione di immagini e video dell’attentato. Sono misure prese in occasione di ogni attentato terroristico, ma questa volta sono state applicate a dieci giorni dal colpo di mano con cui il governo ha sostituito in blocco la dirigenza del quotidiano Zaman con una più favorevole alla sua linea politica.
F.M.R.
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