A Palermo, 25 anni fa, la mafia uccideva il giudice Paolo Borsellino.
Era il 19 luglio 1992 quando un’autobomba piazzata in via Mariano D’Amelio uccideva il procuratore aggiunto di Palermo e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. Sopravvisse un solo agente di Polizia, Antonino Vullo. Nemmeno due mesi prima, il 23 maggio, in un altro attentato di Cosa Nostra era morto il giudice Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti Rocco Dicillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani.
Oggi lo Stato li ricorda con i toni riservati agli eroi. Stamattina la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha partecipato alla cerimonia in via D’Amelio. La commissione Antimafia guidata da Rosi Bindi si è riunita a Palermo per ascoltare le testimonianze di Vullo e della figlia del giudice, Fiammetta. A Roma Camera e Senato, quest’ultimo presieduto dall’ex giudice Pietro Grasso, dedicano alle vittime minuti di silenzio e applausi. Lo stesso Grasso su Facebook ricorda il “volto umano e privato” di Borsellino, mentre la presidente della Camera Laura Boldrini ricorda che il “ricordo vivo e profondo” dev’essere accompagnato dall’“impegno delle istituzioni, della società civile, dei singoli cittadini nel contrasto alla criminalità organizzata”.
Ma il discorso al CSM del presidente della Repubblica Sergio Mattarella fa intendere che sul suo omicidio, e sul ruolo della mafia in questo Paese, gran parte della verità è ancora da scoprire.
“La tragica morte di Paolo Borsellino, insieme a coloro che lo scortavano con affetto, deve ancora avere una definitiva parola di giustizia”, dice il capo dello Stato ai magistrati. “Troppe sono state le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verità”.
Di quelle incertezze e di quegli errori, molti potrebbero non essere frutto del caso. Il sospetto è già grave di per sé, tanto più se rimane vivo, senza accennare a dissiparsi, da un quarto di secolo. Anni nei quali le procure hanno seguito piste inattendibili, senza ottenere risultati di alcun peso. Anche dopo l’arresto e la “conversione” del pentito Gaspare Spatuzza, tra il 1997 e il 1998, gli inquirenti sono riusciti soltanto a sottoporre a revisione i processi già celebrati e ad assolvere tutti gli imputati già condannati, giusto la settimana scorsa, senza riuscire ad aggiungere nulla di nuovo alle indagini.
In un articolo pubblicato il 13 luglio su ilpost.it, il giornalista Enrico Deaglio ha ricostruito quanto si sa e quanto non si sa di quel che si dovrebbe sapere sulla strage, e ha concluso: “La mancanza di indagini e di risultati – in ben 19 anni – mi fa concludere che il depistaggio sia riuscito perfettamente e sia ancora in corso”.
“Paolo Borsellino ha combattuto la mafia con la determinazione di chi sa che la mafia non è un male ineluttabile ma un fenomeno criminale che può essere sconfitto”, ha detto oggi Mattarella al CSM. “Sapeva bene che per il raggiungimento di questo obiettivo non è sufficiente la repressione penale, ma è indispensabile diffondere, particolarmente tra i giovani, la cultura della legalità”.
Nel frattempo, alla periferia di Agrigento, qualcuno ha danneggiato con un oggetto contundente il monumento eretto nel punto dove la mafia uccise il giudice Rosario Livatino, nel 1990. È solo l’ultimo attacco ai simboli della lotta alla mafia. La scorsa settimana qualcuno aveva decapitato la statua di Giovanni Falcone di fronte alla scuola intitolata a lui e a Borsellino, allo Zen di Palermo, un quartiere dove la mafia è ancora una presenza fissa. Poi la stessa scuola ha ricevuto altri messaggi intimidatori: qualcuno ha lasciato animali decapitati di fronte ai cancelli dell’istituto. Nel frattempo qualcuno aveva bruciato un cartellone che ritraeva Falcone di fronte a un’altra scuola di Palermo.
F.M.R.
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