Il Real festeggia la "Dècima" dopo la finale derby con l'Atlètico
La finale tutta madrilena della Champions 2013/14 è finita con un Ancelotti insolitamente euforico portato in trionfo dai suoi ragazzi per la storica “Dècima” affermazione continentale dopo una finale ricca di emozioni e conclusasi con un bugiardo 4-1 per il Real dopo i tempi supplementari. Per le “merengues” termina un’ossessione che stava caricando da tempo tutto l’ambiente di una tensione difficile da sopportare per tutti: giocatori e, soprattutto, allenatore, tanto amato dai giocatori quanto appena stimato dalla dirigenza.
Carlo Ancelotti alza la “Coppa dalle grandi orecchie”
Per l’Atlètico, invece, una beffa atroce. Campione d’Europa per la prima volta nella sua storia fino al 93′, quando l’unica disattenzione di una, per il resto eroica, linea difensiva ha concesso a Sergio Ramos, il vero attaccante aggiunto della formazione di Ancelotti, di schiacciare di testa l’imparabile pallone dell’1-1. E i tifosi “colchoneros” più attempati devono aver rivissuto il drammatico epilogo della finale di 40 anni orsono quando, al 119′, l’Atlètico era avanti 1-0 contro il leggendario Bayern di Beckenbauer e Muller, prima di venir riacciuffati all’ultimo minuto dal più improbabile degli eroi: Schwarzenbeck. Anch’egli un difensore. Peraltro, molto meno dotato tecnicamente e meno avvezzo a trovare la porta altrui rispetto a Ramos. Nella ripetizione di quella finale (all’epoca non erano previste le code di supplementari e rigori) non ci fu storia e fu un 4-0 facile per i tedeschi. Allo stesso modo sabato, nei supplementari, non c’è stata più partita: chiuso sull’1-1 anche il primo tempo supplementare grazie all’ultimo residuo di energie, fisiche e nervose, i ragazzi di Simeone si sono sciolti. Comprensibilmente.
Dal paradiso all’inferno per l’Atlètico di Simeone, percorso inverso per il Real di Ancelotti. E’ anche questo il fascino crudele del calcio.
dall’estasi…
…al trionfo
Tutto sommato, il Real, pur a lungo irretito dalla straordinaria intensità agonistica di Gabi&co.(a proposito del capitano: sembrava ne giocassero tre simultaneamente, nettamente il migliore in campo), ha meritato il trofeo. Nulla di straordinario sul piano della qualità di manovra, ma il peso specifico delle tante sue stelle in campo (molte delle quali a scartamento ridotto, in verità, come Ronaldo, Khedira e, soprattutto, Benzema) si è fatto sentire nel momento del furente, quanto disordinato, arrembaggio finale. Il torto dell’Atlètico, autore della “partita perfetta” fino a venti minuti dal termine, è stato quello, vistosi a corto di energie, di consegnare palla e centrocampo ai rivali, confidando solo nella straordinaria tenuta stagna del quartetto difensivo. Solo Di Maria, tra i “blancos”, è riuscito a superare con una certa continuità, l’oppositore di turno, caricando i biancorossi di falli e cartellini. Con un Ronaldo in condizione accettabile, da almeno una delle punizioni sarebbe potuta uscire la rete apriscatole. Ma il fenomeno portoghese non era al meglio e ha potuto lasciare il proprio autografo solo su rigore quando ormai sfilavano i titoli di coda. Il lavoro grosso (e sporco) lo aveva fatto, per lui e per tutti gli altri assi di Ancelotti, il fuoriclasse argentino, in parte Bale (poco preciso e molto frenetico come nell’occasione del vantaggio divorato da ottima posizione poco prima del vantaggio “colchonero”) bravo comunque a infilare, di testa, la “banderilla” del 2-1 nel 2° tempo supplementare (ma il tap in del gallese è stato propiziato dall’ennesima folata mortifera di Di Maria) e, se non altro per l’ingrato compito di sostituire uno come Xabi Alonso, Modric (peraltro, autore della pennellata su corner telecomandata sulla testa di Ramos per l’1-1).
La partita si era aperta con una sensazione di dèja vu che ha rimandato allo sconforto patico dai tifosi dei “materassai” il sabato precedente al Camp Nou: Diego Costa, recuperato in extremis grazie a massicce ingestioni di placenta di cavallo (una terapia che ha ricordato molto quella a base di cartilagine di zampe di maiale seguita da Simeone quando giocava nella Lazio…), era costretto a disertare già al 9′. Arda Turan, invece, non era neanche in campo: assiso in tribuna a soffrire, con il suo barbone, per i suoi compagni. Una situazione molto simile a quella vissuta contro il Barça. Lì lo sbandamento fu evidente e la rete di Sanchez lo avrebbe dovuto acuire. Ma la reazione dell’Atlètico fu da squadrone di rango e il volto della gara mutò grazie all’incredibile forza d’animo degli uomini di Simeone. Al Da Luz, il Real non era riuscito a sfruttare il momento favorevole e aveva, invece, incassato la rete di Godìn (proprio lui, l’eroe del Camp Nou): ennesima rete stagionale di testa su palla inattiva dell’Atlètico, propiziata da un’uscita “pentita” di Casillas. Di lì in poi, l’effetto “assenza del centroboa” veniva, di fatto, annullato perchè la partita s’incanalava esattamente nei binari prediletti da Simeone: grande attenzione dietro e riprtenze velenose affidate ai suoi piccoli ed agili incursori davanti.
La partita perfetta dell’Atlètico e tale è stata per quasi 70′. Con l’unico neo di non esser riuscito a chiuderla anzitempo. Poi, serbatoio in riserva, sostituti non all’altezza dei titolari e tanta sofferenza. La gara si è decisa, di fatto, un minuto prima del pari di Ramos quando Villa era bravissimo a conquistarsi una punizione dal limite destro dell’area madridista ma Sosa (a proposito di riserve inadeguate) pensava bene di calciare una “telefonata” tra le braccia di Casillas. Dal rinvio del portiere si sarebbe avviata l’azione del pari dei futuri campioni. Sarebbe bastato che Sosa appoggiasse il pallone al vicino Villa per cercare di palleggiare e puntare la bandierina e, con ogni probabilità, il match sarebbe finito lì.
Per questo, riconosciuti i giusti meriti ad Ancelotti anche per i cambi in corsa (ma non sarebbe stato meglio un Marcelo dall’inizio in luogo di uno spento Coentrao?) e per aver sopportato la pressione della vigilia, ci sembra onesto intellettualmente uscire dal consueto copione tutto “italiota” di gioire per la vittoria di Carletto come fosse, per ciò solo, roba nostra e riconoscere che, finchè i suoi ragazzi hanno avuto benzina in corpo, Simeone aveva stravinto il duello tra le panchine.
Diego Pablo Simeone autentico “condottiero” dei suoi anche al Da Luz
Alla fine, a festeggiare è stata sola plaza de Cibeles, mentre in quella del Neptuno, bardato di sciarpe biancorosse appena sette giorni prima, il silenzio la faceva da padrone. Ma, al netto di isolati incidenti provocati dai soliti imbecilli, la festa madridista è stata esuberante ma pacifica.
E al Da Luz molti tifosi delle due squadre si sono presentati assieme e hanno trascorso in compagnia le ore dell’attesa. Con zero problemi al momento del deflusso.
Ipotizzate una finale Roma-Lazio e provate a immaginare vigilia e post partita…
Quanta amarezza per noi. E quanta invidia per loro.
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