Inizia oggi (lunedì 16 marzo) la quarta settimana di chiusura dei teatri del nord Italia (Lombardia, Piemonte, Veneto Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Liguria), le regioni colpite per prime e in modo più devastante dal contagio del Covid 19. E’ invece la terza settimana di chiusura obbligata dal DPCM del 4 marzo, e successivi, per i teatri del resto della Penisola.
Nell’emergenza sanitaria generale è inevitabile che un settore come quello dello spettacolo dal vivo passi immediatamente in secondo piano. Tuttavia già nella prima settimana, quando a chiudere i teatri era stato il solo Nord, con capofila il Teatro alla Scala – costretto a cancellare le repliche, perlomeno fino ad aprile, anche per l’allarme di un proprio corista risultato positivo – le ripercussioni che questo avrebbe avuto sull’intero settore e in tutto il Paese si erano già potute leggere in filigrana. La precarietà dei lavoratori dello spettacolo dal vivo è da sempre tra le più estreme, non è un caso che si siano abbattute per prime su di loro le pesanti conseguenze economiche di questa pandemia. Sebbene nell’art.19 del Contratto Collettivo Nazionale – rinnovato dopo dieci anni di attesa nell’aprile del 2018 – sia prevista una tutela, per artisti e tecnici, a carico delle Imprese, in caso di chiusura del teatro per cause di forza maggiore o per “provvedimento della pubblica autorità”, essa tuttavia non supera i 12 giorni. E’ cosa risaputa però, a chi lavora nel settore, che sebbene qualche grande impresa o teatro non abbia eccessivi problemi a farsi carico di questo onere, la maggior parte delle piccole imprese e dei piccoli teatri di produzione non è assolutamente in grado di far fronte a un simile esborso, soprattutto in un momento in cui sa che le attività saranno sospese perlomeno fino al 3 di aprile; ossia per ulteriori due settimane, portando il conto totale del fermo a 6 settimane per il Nord e a 5 settimane per il resto d’Italia. Ma ad oggi è plausibile pensare che la chiusura durerà molto più a lungo.
Come conferma il comunicato stampa pubblicato sulla propria pagina FB dal Comitato nazionale delle fondazioni lirico-sinfoniche: “Oggi, alcune Imprese dichiarano di non poter sostenere questo costo, vista l’incertezza sulla futura programmazione, e chiedono ai lavoratori di rinunciarvi facendo appello a un senso di responsabilità che non è accettabile, né sostenibile. Non è ammissibile che i lavoratori più deboli debbano pagare un costo così grande”. In un’intervista rilasciata all’Agi, Filippo Fonsatti presidente di Federvivo ha dichiarato: “La ricaduta è sicuramente grave sulle imprese e sulle compagnie, sulle istituzioni grandi e piccole, ma è gravissima sui lavoratori. Non essendoci in questo comparto la cassa integrazione, rischiamo veramente che i costi più alti vengano pagati dagli artisti e dai tecnici impegnati nelle produzioni. La preoccupazione riguarda […] soprattutto la qualità della vita e il sostentamento degli artisti”.
L’AGIS ha stimato, basandosi sui dati SIAE, che già nella prima settimana di chiusura, cioè quella che va dal 25 febbraio al 1 marzo, la perdita del comparto sia stata di circa 10mln di euro, dovuti alla cancellazione di 7400 spettacoli.
Si tratta di spettacoli e incassi irrecuperabili. Il sistema produttivo teatrale si basa, per legge, su una pianificazione triennale: un giorno di spettacolo saltato è semplicemente un giorno perso. Per talune imprese è soprattutto un borderò perso, che non entrerà nella rendicontazione al Ministero, causando, a coloro che per meriti artistici usufruiscono del contributo ministeriale, un danno economico anche a lungo termine. I sindacati del settore, insistevano già in una nota del 25 febbraio, in cui chiedevano la proclamazione dello Stato di Crisi: “Non bisogna dimenticare che la maggior parte dei lavoratori svolge la propria attività per i periodi legati allo spettacolo, quindi la previsione di annullamento degli stessi ricade in modo pesante su artisti e maestranze, che non avranno possibilità di trovare altra attività che compensi quella perduta.”
E che dire poi di quelle, moltissime, piccole realtà che operano esclusivamente nel settore del teatro ragazzi, collegato alle scuole. Ricorda infatti Fonsatti che “tutti i settori educational delle grandi istituzioni, dalla Scala in giù, ed anche e soprattutto tutti i soggetti, come compagnie, centri di produzione, si vedono sostanzialmente azzerare l’attività per un periodo ancora più lungo di quello che ha colpito gli altri teatri. La situazione è un bollettino di guerra”.
Se con il decreto “Cura Italia” emanato oggi il Governo ha deciso di stanziare 130 milioni euro per l’intero comparto dal vivo (Musica e Cinema inclusi), il che a conti fatti si rivela una cifra assai ridotta, c’è un altro aspetto che preoccupa gli operatori del settore ed è la perdita di fiducia da parte del pubblico a frequentare i teatri, percepiti quali possibili luoghi di contagio. Un rapporto di fiducia già fragilissimo ben prima di questa crisi. C’è infatti voluto pochissimo per svuotare le platee, ben prima del DPCM del 4 marzo: l’idea di stare in un luogo chiuso, gomito a gomito con altre persone, aveva scoraggiato già molti spettatori sin dall’inizio della diffusione del virus, quando oggettivamente non c’era ancora nulla da temere. Sarà complesso ricucire lo strappo, soprattutto avviandoci ora ad una stagione, quella primaverile ed estiva, in cui già normalmente il pubblico di certe città, come Roma ad esempio, diserta volentieri i teatri per starsene all’aria aperta. Sono in molti a temere che di fatto la stagione si sia già conclusa, causando un danno incalcolabile soprattutto alle medie e piccole compagnie e agli artisti autonomi.
Se da ogni parte vengono lanciati appelli accorati, sin dalle prime ore di questa notte che appare interminabile, come quello sottoscritto dai critici Massimo Marino, Andrea Porcheddu e Attilio Scarpellini è soprattutto perché “Un paese senza teatri, senza cinema, senza incontri, senza dibattiti, senza istruzione, o con tutte le attività culturali bloccate o penalizzate, è un luogo che si avvia a una infezione più pericolosa di quella del Covid-19: quella delle menti e delle anime”. Il Teatro è un luogo attorno al quale, in periodi complessi come questo, è possibile ricreare il senso di comunità. Sarà un bene per tutti se usciti da questa emergenza i teatri saranno aiutati a riaprire e a continuare la loro opera civile. Come scriveva Giorgio Strehler più di 70 anni fa, quando in una Milano piena di macerie apriva quello che è stato uno tra i più illuminati progetti culturali pubblici, il Piccolo Teatro di Milano:
“Noi non crediamo che il teatro sia un’abitudine mondana o un astratto omaggio alla cultura […] Il teatro resta quel che è stato nelle intenzioni profonde dei suoi creatori: il luogo dove una comunità, liberamente unita, si rivela a se stessa”.
Elisa Rocca
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