«Stiamo uscendo dalla recessione lentamente: secondo le previsioni del Documento di economia e finanza solo nel 2014 il Pil tornerà sul livello del 2007». A dirlo è ill governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. «In termini di prodotto pro capite – ha aggiunto il governatore – il recupero del livello pre-crisi sarà ancora più lento. Interrogarsi sul nostro potenziale di crescita non è un esercizio retorico, è una riflessione sul futuro del nostro Paese, sulle prospettive delle generazioni ora più giovani».
Nel suo intervento, Draghi ha sottolineato come il tasso di sviluppo medio sia stato in décalage negli ultimi decenni e che il divario con i partner resta elevato anche in questa fase di ripresa: «Negli anni Ottanta l’economia italiana è cresciuta del 25%; negli anni Novanta del 16%; tra il 2000 e il 2007 è cresciuta del 7%, mentre gli altri Paesi dell’area dell’euro crescevano del 14. Nel biennio 2008-09 la crisi ci ha tolto 6,5 punti di Pil, mentre gli altri Paesi dell’area ne perdevano 3,5. Il divario fra l’Italia e gli altri paesi – ha quindi aggiunto – perdura nella fase di ripresa. Questi dati esprimono sinteticamente la difficoltà delle imprese italiane a essere competitive, dei responsabili della politica economica ad attuare strategie di modernizzazione del Paese, degli stessi economisti a orientare le proprie ricerche e a comunicarne al pubblico i risultati». Draghi ha poi ricordato che durante la crisi la buona tenuta delle banche la solidità finanziaria delle famiglie e delle imprese e una prudente gestione del bilancio pubblico hanno contenuto il peggioramento dei conti dello Stato. E oggi «l’indebitamento netto è, per la prima volta dall’avvio dell’euro, nettamente inferiore al valore medio dell’area. La dinamica della spesa corrente è stata finalmente rallentata».Ma il governatore ha anche spiegato che «la spesa in conto capitale è stata fortemente ridotta, è sui livelli più bassi degli ultimi decenni» e «la pressione fiscale continua ad essere elevata nel confronto internazionale e in prospettiva storica». Sulla bassa crescita pesano le scelte del passato, ha detto: «Scontiamo scelte operate nei decenni precedenti, che trovano la loro sintesi nell’alto debito pubblico con cui abbiamo affrontato la crisi. Nel volgere di tre anni – ha aggiunto – il debito è salito ancora, di 15 punti percentuali di Pil, al 119%, non lontano dai livelli dei primi anni Novanta. Ma allora il patrimonio pubblico era maggiore, la popolazione più giovane, vi era la prospettiva che il debito si sarebbe ridotto». Poi, il numero uno di Bankitalia ha chiarito che ogni decisione di policy presuppone scelte complesse: «Dobbiamo essere consapevoli che non esistono facili scorciatoie. La spesa in R&S non può essere accresciuta in modo sostenibile attraverso sussidi pubblici; si richiedono innovazioni nel mondo delle imprese, negli apparati ministeriali e nel sistema dell’istruzione. L’incidenza della povertà non può essere ridotta accrescendo la spesa pubblica complessiva: occorre un’attenta revisione dell’assetto delle politiche sociali che concentri le risorse ove sono più necessarie». Quanto alla politica industriale, Draghi ha affermato che «una maggiore competitività del sistema produttivo non può essere ottenuta con sostegni e difese dalla concorrenza: richiede un’attenta regolamentazione pro-competitiva dei mercati, ben disegnata e sorvegliata da regolatori indipendenti». E ha concluso: «Ricordiamoci che anche in un Paese che cresce lentamente vi sono tante imprese dinamiche, amministrazioni che innovano, giovani con un capitale umano di eccellenza mondiale. E da lì che bisogna partire. Spetta a coloro che, a vario titolo, gestiscono la politica economica compiere il primo passo, poggiando su analisi documentate e trasparenti».
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