Roberta Vinci e Sara Errani si abbracciano felici: Wimbledon non è più un sogno
Vincere Wimbledon, il sogno di chiunque impugni almeno una volta nella vita una racchetta. Non ci era mai riuscito nessun italiano e neppure nessuna italiana, tra i senior, nè in singolare, nè in doppio in 127 edizioni del mitico torneo londinese. Solo Diego Nargiso nel 1987 e Gianluigi Quinzi l’anno scorso ce l’avevano fatta. Ma a livello junior. Quest’anno il tabù è caduto grazie a due splendide campionesse nonchè due ragazze dalla semplicità disarmante: le Cichi, al secolo Sara Errani e Roberta Vinci. Battute, ma verrebbe da dire, scherzate in finale, l’ungherese Timea Babos e la francese Kristina Mladenovic per 6-1 6-3 in meno di un’ora. 56 minuti per l’esattezza. Con questo inedito successo, Errani e Vinci hanno completato il “career Grand Slam”, ossia sono riuscite a vincere tutti e quattro i tornei dello Slam (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open) sia pure non nel medesimo anno. Questa perla va ad arricchire una bacheca personale dove trovavano già posto due successi in Australia (2013 e 2014), uno a Parigi (2012) e uno a Flushing Meadows (2012). Otto finali nei tornei dello Slam negli ultimi undici disputati. In totale, 20 successi all’attivo. E da lunedì torneranno, come è giusto che sia, al n. 1 del ranking Wta della specialità.
Le Cichi alzano le coppe : Wimbledon è azzurro!
Numeri da capogiro, quelli messi assieme dalle nostre due ragazze: sono solo la quarta coppia nell’era Open (cioè da Roland Garros 1968) a potersi fregiare di tutte e quattro le tacche Slam (prima di loro Navratilova-Shriver, Gigi Fernandez e Natasha Zvereva e le sorelle Williams), la sesta se si considera anche l’era pre-Open.
A salutare il successo di Sara e Roberta anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con un tweet: “Game, set, match career Grand Slam for Roberta Vinci Sara Errani as the Italians beat Babos Mladenovic 6-1 6-3”.
La finale non ha avuto, francamente, storia: primo set che ha avuto una parvenza di equilibrro solo fino al 2-1, dopo 4 games consecutivi e parziale incamerato in appena 27 minuti. Nel secondo c’è appena più incertezza ma sul 3-2 arriva il break decisivo e poi è solo una cavalcata trionfale del duo azzurro.
Volendo trovare il turning point del torneo delle Cichi, sicuramente la svolta è stata il secondo turno vinto con le sorelle ucraine Kichenok annullando ben 5 match point. Ed, a proposito di cronistoria, è bene ricordare che Errani e Vinci non erano mai andate oltre i quarti di finale in carriera sui prati londinesi.
“E’ questo il nostro segreto, non smetteremo mai di ripeterlo. Siamo come sorelle e non smetteremo mai di ripeterlo. Siamo come sorelle e intorno a noi c’è una grande famiglia: la nostra e quella del nostro team. Sappiamo come aiutarci giorno dopo giorno ”, la spiegazione che le due ragazze danno del loro affiatamento. Non due semplici colleghe che condividono un sogno professionale, ma due vere amiche. Anche se caratterialmente agli antipodi, tanto è estroversa la tarantina, quanto timida e riservata Sarita. Un connubio e un’amicizia che parte da lontano. Da un doppio nato quasi per caso a chiusura di un match di Federation Cup con la Francia nel 2009 in cui Errani e Vinci vennero schierate a risultato acquisito. Da lì in poi sono divenute un punto fisso della nazionale e hanno iniziato a giocare insieme anche nei tornei in giro per il mondo. Tra le poche tenniste di alto livello a praticare la specialità con continuità.
“Non abbiamo vinto uno Slam. Lo abbiamo fatto. Ci pensavo dalla mattina, ero nervosa ma sono riuscita a trasformare la tensione in energia positiva. Ora abbiamo fatto la storia ed è una sensazione esaltante“, le emozioni raccontate da Sara Errani. “Forse mi renderò conto di quello che abbiamo fatto un giorno quando sarò ormai una ex giocatrice e mi fermerò a contare le vittorie“, gli fa eco Roberta Vinci.
E insieme torneranno a difendere il titolo l’anno prossimo, noncuranti delle critiche mossegli da molti sull’opportunità di giocare singolare e doppio in tutti gli appuntamenti.
Le finaliste 2014: Eugènie Bouchard e una raggiante Petra Kvitova
Quanto al titolo femminile, Petra Kvitova, 24enne ceca, è tornata ad alzare il “Rosewater Dish”, il piatto che viene consegnato alla vincitrice, per la seconda volta in carriera. La prima era stata nel 2011, quando sorprese tutto il mondo tennistico battendo seccamente in finale la molto più quotata ed esperta Maria Sharapova. Da lì in poi, nonostante le vittorie di fine anno sia al Master che in Fed Cup (l’avrebbe rivinta l’anno successivo ed è in finale anche in questa stagione) con la stagione chiusa con il suo best ranking di n. 2 del mondo, anzichè esplodere definitivamente e ottenere la consacrazione ad un talento e ad una potenza che, quando la mancina è in condizione, la rendono, soprattutto sul veloce indoor e sull’erba, la miglior giocatrice del circuito dopo Serena Williams, lo stallo. Un’involuzione figlia della difficoltà a metabolizzare il nuovo status di stella di prima grandezza nel firmamento mondiale. Oggi, con tre anni di esperienza in più sulle spalle e tornata assieme al suo fidanzato storico, Adam Pavlasek, dopo aver rotto la relazione con Radek Stepanek (in passato compagno di altre due campionesse, Martina Hingis e Nicole Vaidisova), ha riacquistato serenità ed equilibrio. Lo ha potuto constatare in finale la giovane (20 anni) canadese Eugènie Bouchard, spazzata via con un perentorio 6-3 6-0 in una delle finali più a senso unico che la storia del torneo ricordi (per ritrovare una finalista sconfitta con tre soli games all’attivo bisogna risalire a Graf-Seles del 1992, un punteggio identico ma con set invertiti si ebbe, invece, in Navratilova-Jaeger del 1983, peggio fece solo la Goolagong travolta dalla King con un umiliante 6-0 6-1 nel 1975, per limitarsi all’era open e non scomodare Lenglen e socie). Travolta da un turbine di potenza che non le ha concesso alcuna possibilità di invertire il trend. 28 colpi vincenti ad 8, del resto, è un gap abissale che il solo micidiale servizio mancino (82% dei punti ottenuti con la prima in campo) non basta, da solo, a spiegare. Petra è stata perfetta anche nei colpi di rimbalzo, aggressivi ma con poche concessioni all’errore e molto incisiva a rete con 11 punti su 14 discese. Rimane, comunque, un torneo eccezionale, quello della canadese che in questo 2014 ha centrato almeno la semifinale in tutti e tre gli Slam disputati. Su tre superfici diverse e alla sola sesta apparizione in un tabellone principale di uno Slam. Il futuro le appartiene. Ma il presente è tutto di Petra Kvitova.
Roger Federer e Novak Djokovic: una poltrona per due
Oggi, infine, scenderanno in campo per la finale del singolare maschile Novak Djokovic e Roger Federer. Finale dai mille motivi. Sono i superstiti di una vecchia guardia che ha dovuto respingere l’assalto più convinto che mai delle nuove leve al gotha del tennis. Abbastanza facilmente Roger contro il bombardiere canadese Raonic, con molte più difficoltà Nole contro il bulgaro Dimitrov. Si preannuncia un match molto aperto oltre che ad alto tasso di spettacolarità. Del resto, tra i “Fab four” non c’è dubbio che sia stato proprio Djokovic-Federer il duello che ha offerto la miglior combinazione possibile. Il tennis dei due si sposa alla perfezione, senza dare la sensazione di un confronto allo specchio tra due giocatori troppo simili (vedi i match tra Djokovic e Murray e, in minor misura, quelli tra il serbo e Nadal) o troppo squilibrati (Federer e Nadal hanno giocato anche match epici per pathos, ma la superiorità complessiva dello spagnolo nei testa a testa è fuori discussione) o troppo caratterizzati (tra Federer e Murray il confronto si gioca sostanzialmente sulla prevalenza del servizio dello svizzero piuttosto che della risposta dello scozzese e l’esito dei loro match ne è sempre logica conseguenza). Per l’elvetico, primatista a Wimbledon con 7 successi (in coabitazione con William Renshaw che però si giovava del challenge round, e con Pete Sampras) e primatista assoluto negli Slam con 17 titoli, a 32 anni (33 l’8 agosto), questa potrebbe essere l’ultima opportunità per incrementare il bottino, scrivere un’altra pagina di storia del tennis e diventare il primatista di vittorie in solitario sull’erba londinese. Per Djokovic, l’occasione di cancellare una storia recente che negli Slam lo ha visto quasi sempre protagonista. Ma quasi sempre sconfitto. Battuto nelle ultime tre finali (Murray a Wimbledon 2013, Nadal agli Us Open 2013 e al Roland Garros di quest’anno), che si vanno ad inserire in una striscia di 5 finali perse sulle ultime 6 disputate (aggiungendoci, quindi, quelle perse con Nadal a Roland Garros 2012 e con Murray agli Us Open 2012, seguite dalla vittoria del serbo sullo scozzese agli Australian Open del 2013). Una sequenza e un digiuno di vittorie che cominciano ad essere preoccupanti per chi ambisce anch’egli a scrivere altre pagine di storia di questo sport. Suggestivo anche il confronto nei rispettivi angoli tra i due coach, Stefan Edberg per Federer, Boris Becker per Djokovic. Molti dei loro duelli hanno infiammato gli anni ’80 e uno spicchio della decade successiva. Becker chiuse in netto vantaggio il bilancio degli scontri diretti, ma a Wimbledon le cose andarono diversamente: tre finali consecutive tra l’88 e il ’90 con due vittorie per lo svedese. Anche a loro due un posto nella storia del tennis va riservato di diritto. Tornando ai giorni nostri, il bilancio degli head to head tra i due finalisti vede Federer in vantaggio per 18 a 16 (2 a 1 per l’elvetico in questo scorcio di 2014) e, sull’erba, l’unico precedente è stato appannaggio dello svizzero, vincitore proprio qui a Wimbledon nella semifinale del 2012 che lo avrebbe poi proiettato alla finale con Murray che gli avrebbe dato la 17esima e fin qui ultima gioia. Infine, in caso di vittoria, Djokovic scalzerebbe Nadal dal trono di n. 1 del mondo. Un traguardo di grande prestigio ma che sbiadisce di fronte alla gloria che garantisce il più antico torneo del pianeta.
Difficile fare un pronostico: Federer ha un’autonomia (più nervosa che atletica, in verità) più limitata. Non molto oltre le tre ore di gioco. Quindi, per vincere dovrà farlo in massimo 4 set. Djokovic, di 5 anni più giovane del rivale, può andare avanti ad oltranza. In un match di 5 set sarebbe lui il favorito, anche se il vantaggio anagrafico potrebbe esser parzialmente mitigato dalle 5 ore in più trascorse in campo dal serbo nel cammino affrontato per giungere sino all’atto conclusivo.
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