Esattamente 72 anni fa, il 27 gennaio del 1945, i carri armati dell’esercito sovietico sfondavano i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz nell’attuale Polonia. Una data che segna la fine di un incubo durato sei anni. Sei anni di guerra, di sofferenze indicibili, di deportazioni, di addii.
“Rammentare e onorare – com’è bene fare – i tanti giusti, le tanti azioni eroiche non cancella, tuttavia, le colpe di chi, anche in Italia, si fece complice dei carnefici per paura, fanatismo o interesse”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante la cerimonia al Quirinale per il giorno della memoria.
“Nel Giorno della Memoria – ha aggiunto Mattarella – ricordiamo anche i 650.000 militari italiani deportati nei campi tedeschi, perché dopo l’8 settembre si rifiutarono di servire Hitler. E’ una pagina di storia, colma di sofferenza e di coraggio, che è parte integrante della Resistenza italiana e che non sempre è adeguatamente conosciuta”.
Famiglie distrutte, vite spezzate: ancora adesso, per chi si reca ad Auschwitz, una delle immagini più scioccanti rimane quella di montagne di scarpe spaiate (ce ne sono circa 30mila) di ogni dimensione, piccole medie grandi, da adulto, da donna, da bambino o da bambina, con il tacco o senza. Le scarpe come unico, informe ricordo di chi le portava nell’ultimo giorno della sua vita, ed ora conservate nel Museo statale aperto nel complesso di Auschwitz-Birkenau.
L’Olocausto. Sei milioni o 17 milioni di persone. Questo il numero delle vittime dell’Olocausto, a seconda se con questo termine si voglia intendere il solo genocidio degli ebrei oppure anche quello dei rom, i disabili, i dissidenti, gli omosessuali, gli Slavi, i Polacchi, e tutti coloro che non si uniformavano alla visione dell’Umanità promulgata dalla Germania nazista. In entrambi i casi, è un calcolo di morte.
In Italia, l’incubo comincia a farsi reale il 18 settembre del 1938, giorno del discorso di Mussolini a Trieste in cui annunciava le leggi razziali, seguito a breve distanza dall’approvazione del Gran Consiglio del Fascismo della dichiarazione sulla razza, il 6 ottobre dello stesso anno. Proprio nella serata di ieri, il 26 gennaio, vigilia della Giornata internazionale della Memoria, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, andava in scena “Serata colorata” in ricordo dei 3mila “ebrei stranieri” che si sono ritrovati confinati in uno dei 48 campi di concentramento italiano, quello di Ferramonti, in provincia di Cosenza. Qui sono stati confinati uomini di fama o che lo sarebbero diventati presto, ma anche e soprattutto musicisti come il trombettista Oscar Klein, il direttore d’orchestra Lav Mirski, il pianista Sigbert Steinfeld, il cantante Paolo Gorin, il compositore Isak Thaler, il pianista Kurt Sonnenfeld. “La loro storia è quasi ignota, anche agli addetti ai lavori”, ha spiegato a Vanity Fair il musicologo Raffaele Deluca, “perché la memoria dell’universo concentrazionario italiano da noi è stata sempre rimossa, o sminuita al confronto con i lager tedeschi. E invece anche quelle dei prigionieri d’Italia erano vite, o perlomeno carriere, distrutte”.
Ernst Lossa: il bambino che sapeva troppo. Ad anticipare la cerimonia del Quirinale in ricordo delle vittime dell’Olocausto, anche una pellicola cinematografica uscita il 19 gennaio. Il film “Nebbia in agosto” di Kai Wessel racconta la storia di Ernst Lossa, il ragazzo tedesco, dichiarato dai suoi medici/carcerieri “inadatto a vivere” e per questo soppresso come gli altri bambini che si trovavano a Irsee, filiale dell’Ospedale Psichiatrico di Kaufbeuren.
Ma le iniziative in occasione della Giornata Internazionale della Memoria sono state molte. Tra queste, anche la mostra “La razza nemica”, allestita a Roma alla Fondazione Museo della Shoah negli spazi della Casina dei Vallati dal 30 gennaio al 7 maggio e che vede al centro la propaganda antisemita del regime nazista e fascista.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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