Sulla questione del conflitto israelo palestinese non poteva non mancare la proposta del presidente americano Donald Trump tutto preso, in queste ultime settimane, a tenere lontano da se e dalla richiesta di impetchament, i riflettori ed il giudizio del mondo. Ed è così che l’offerta di un piano di pace per il medioriente è arrivata puntuale come poche, anche se la proposta è talmente sbilanciata a favore di Tel Aviv, che pochi sono disposti a scommetterci sopra. Si tratta di un progetto fatto frettolosamente e condizionato dalle elezioni in Usa e in Israele, sul quale i palestinesi di Abu Mazen e di Hamas hanno già fatto sapere di non essere disponibile a trattare.
Ovviamente dello stesso avviso non è il borioso presidente degli Stati Uniti che in materia dei politica estera tende sempre a privilegiare l’animo del cow boy che alberga nella sua disinvolta personalità. E’ infatti euforico il Deal d’oltremanica quando esclama: “Questo è l’affare del secolo” portando il dramma del conflitto di due popoli in corso da più di un secolo ad un mero confronto basato sul trasferimento di soldi in cambio di sovranità territoriale e legittimazione politica. La sua proposta di pace la riduce ad un affare da 50 miliardi di dollari di finanziamenti che pare più uno slogan che una vera e propria risoluzione strategica.
Il piano americano lascia però irrisolti tutti i grandi problemi dello scontro in atto: primo su tutti il diritto alla “terra”, un mantra che per tutto il Medio Oriente rappresenta una priorità. Ma incurante di questo, Trump non ha rinunciato alla kermesse, a Washington, dove i due candidati premier israeliani Benjamin Netanyahu e Binyamin Gantz, si sono precipitati, per assistere alla più bella offerta che gli israeliani potessero aspettarsi.
I palestinesi, come spesso succede in questi esangui tentativi di trattativa, ovviamente non si sono presentati. Ed il perché è semplice: vedono nella proposta di Trump più che un piano, un’offerta offensiva, giudicata troppo sbilanciata a favore degli israeliani. Altri paesi come l’Egitto e i sauditi hanno avuto reazioni moderate, anche se non apertamente favorevoli. Diversa, invece la reazione giordana, dove ad Amman si sono riuniti i palestinesi che hanno dato fuoco alle polveri del negoziato bruciando in strada i vessilli americani.
Ma vediamo i punti più importanti del piano Trump: Gerusalemme resterà capitale indivisibile dello Stato ebraico a fronte del riconoscimento di uno stato palestinese con ampliamento del dieci per cento dei territori oggi a loro destinati; smilitarizzazione della striscia di Gaza contestualmente allo smantellamento di Hamas; creazione di un tunnel che colleghi Gaza alla Cisgiordania con scambi di territori per compensare Israele; smantellamento infine di una sessantina di insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania.
Abu Mazen deluso e preoccupato è categorico di fronte alla proposta Usa: “Gerusalemme non è in vendita”. Lo stesso leader palestinese ha deciso, in queste ore, di fissare un incontro con il mondo arabo a Il Cairo dove proporrà un’alternativa più valida per la difesa e l’incremento dei territori del prossimo stato palestinese.
A complicare le cose infine la decisione di Netanyahu di varare una legge ad hoc per quei territori che si affacciano sulla valle del Giordano, occupati durante la guerra dei sei giorni, proponendone di fatto l’annessione. Quali infine le considerazioni degli osservatori internazionali sulle proposte di Trump? L’Europa di fatto tace. Nel taccuino delle cancellerie di Londra, Berlino, Parigi e Roma più che la pace in Medio Oriente preoccupano gli sviluppi della crisi libica e considerano il piano di Trump una proposta elettorale ad uso interno di Israele e Stati Uniti. I paesi arabi infine guardano con molta diffidenza quella che considerano, in ultima analisi, una proposta inutile e controproducente
B. R.
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