Non c’è stato nulla da fare, per i tre giovani israeliani rapiti in Cisgiordania, diciotto giorni fa: il diciannovenne Eyal Yifrah e i due sedicenni, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel sono stati ritrovati nei pressi del villaggio di Halhul, vicino Hebron. I cadaveri, scoperti dall’esercito israeliano, che da giorni perlustrava la zona, sarebbero stati lasciati dagli assassini non immediatamente, mo dopo alcuni giorni dall’assassinio.I ragazzi, stando alle prime dichiarazioni dei media locali, potrebbero essere morti poco dopo il sequestro. I tre stavano rientrando a casa in autostop, nel tardo pomeriggio, dopo essere stati alla scuola rabbinica. I presunti responsabili del sequestro, Marwan Kawasmeh e Amar Abu Ayash, miliziani della fazione islamica, avrebbero permesso ad uno di loro di telefonare alla polizia per denunciare il rapimento, ma in un primo momento nessuno aveva ritenuto attendibile la notizia. Solo alcune ore dopo, quando le famiglie hanno informato le autorità della scomparsa dei figli, sono iniziate le ricerche. E ora che è accaduto quel che più si temeva, il temporeggiare della polizia e il mancato intervento immediato dell’esercito viene aspramente criticato.
Tuttavia, è innegabile che Israele abbia coinvolto un numero elevatissimo di soldati per ritrovare i tre rapiti, iniziando l’operazione definita “Brother’s keeper“. Negli scontri armati, l’esercito ha ucciso cinque palestinesi e fermato più di quattrocento persone. Perquisite centinaia di case e smantellate molte istituzioni di Hamas, senza dare ascolto alla diplomazia internazionale, che in questi giorni ha invitato più volte Israele, nonostante la gravità della situazione, alla moderazione. Anche le madri dei tre giovani si sono rivolte alle Nazioni unite e per la loro liberazione tutta la classe politica israeliana si è mobilitata. Il premier Benyamin Netanyahu si è rivolto al presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen, chiedendogli di deplorare il rapimento e di rinnegare il governo di unità nazionale che aveva da poco formato con Hamas e il suo rappresentnte Rami Hamdallah.
A quanto pare, tutto è stato inutile. Ad Israele, che ora minaccia ritorsioni, è stata espressa solidarietà da tutto il mondo. Il crimine commesso è, agli occhi degli israeliani, inconcepibile e merita vendetta: già nella notte decine di raid aerei hanno colpito diversi obiettivi di militanti nella striscia di Gaza. Il ministro dell’edilizia Uri Ariel ha dicharato che ”i terroristi vanno colpiti senza pietà’‘ e anche il capo del governo Netanyahu, attaccando Hamas, ha tuonato: “La pagherà. Chi ha ucciso i tre ragazzi è una belva umana“. I palestinesi non hanno tardato a rispondere alle provocazioni: “Ogni offensiva di Israele aprirà le porte dell’inferno“. Abu Mazen fa pressione su Stati Uniti e Europa affinchè si eviti “un’operazione milirate di vendetta”, dato che è ancora da chiarire, secondo i rappresentanti del movimento islamico, se c’è stato un vero coinvolgimento di Hamas o se il tragico pluriomicidio non sia da attribuire a fazioni estremiste, fuori controllo. Intanto, la nazione intera si prepara a dare l’ultimo saluto ai tre giovani.
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