Con le drammatiche dimissioni del ministro degli esteri Terzi e l’autodissoluzione di un governo allo sbando, si è complicato non poco il quadro dei problemi nei quali navighiamo ormai da mesi.
Il brutto pasticcio del rientro dei nostri marò in India, ha infatti prodotto due devastanti conseguenze: la prima è quella di aver inferto il colpo di grazia alle residue possibilità di Bersani di formare un nuovo esecutivo. La seconda, non certo meno importante, quella di aver reso praticamente impossibile la permanenza di Mario Monti a Palazzo Chigi. Il suo inerziale tirare avanti, in attesa di un eventuale reincarico quale conseguenza del fallimento delle attuali trattative, non è più pensabile. Affidare a lui la gestione delle elezioni per la nomina del nuovo capo dello Stato è oggi un’operazione indigesta per tutti i partiti. E di questo ne è perfettamente consapevole l’irritato Giorgio Napolitano che, nel disastro politico diplomatico del governo, vede un ulteriore gravissimo elemento di confusione e caos, nel momento in cui gli sforzi per la formazione di un nuovo governo da parte di Bersani sembrano infrangersi contro il muro dei veti e delle pregiudiziali.
Con l’indecorosa uscita del ministro degli esteri, ultimo atto di una tragedia trasformata in farsa, per Mario Monti le possibilità di restare in sella, in attesa di nuove elezioni, si è fatta decisamente improbabile.
La breve quanto inconcludente stagione dei tecnici si è eclissata nell’Oceano indiano e se oggi c’è un impresentabile, in Italia come in Europa (lo ha sottolineato l’autorevole “Le Monde” in queste ore) quello è l’attuale capo dell’esecutivo.
La vicenda dello scontro con l’India e le gravi accuse a lui rivolte da Terzi a sostegno delle proprie dimissioni confermano che in questo grande e vergognoso pasticcio è stato proprio il presidente del consiglio a commettere gli errori più gravi.
Ma se per Monti le possibilità di appello si sono azzerate, per Bersani le chances di farcela si sono ridotte al lumicino. Dopo il secco no dei grillini il leader Pd si aggrappa alla speranza di agganciare il Pdl sul tema delle riforme. Considerati però gli sviluppi sul piano interno dove i no crescono in maniera esponenziale quando viene soltanto pronunciato il nome di Berlusconi, la strada del governissimo Pd-Pdl sembra al momento del tutto impraticabile.
I miracoli in politica sono rari ma salvo colpi di scena, domani, al Quirinale, con la rinuncia di Bersani dovrebbe consumarsi l’ultimo atto di un tentativo che i numeri parlamentari e i veti incrociati hanno reso praticamente impossibile fin dall’inizio.
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