Un epilogo migliore non ci sarebbe potuto essere neanche se a scriverlo fosse stato il “Barone” Lo Cicero in persona, alla sua ultima recita in azzurro. Eppure, la realtà ha superato anche la più fervida immaginazione: un 22-15 a una sempre orgogliosa pur se rimaneggiata Irlanda in un clima di festa collettiva con pochi precedenti di tale portata e a cui ha preso parte attiva la più impressionante migrazione rugbystica mai vista a Roma con 14 mila magliette verdi a dipingere spalti e vie della città, pronti a festeggiare degnamente e pacificamente S. Patrizio (patrono d’Irlanda) e, sempre domenica 17, papa Francesco, da ferventi cattolici. In campo, però, la simpatia per il folklore irish ha lasciato il posto alla feroce determinazione di un XV, quello di Brunel, deciso a dare un seguito ala brillante performance di Twickenham e ad onorare al meglio il “cap” 103 di Andrea Lo Cicero che, alla vigilia, aveva comunicato, in lacrime, lui, omone d’acciaio e senza paura, l’intenzione di appendere gli scarpini al fatidico chiodo. La missione è riuscita e così l’Italrugby può festeggiare in un colpo solo: un Sei Nazioni concluso con due vittorie, come non accadeva dal 2007 (ma stavolta la qualità degli avversari battuti, Francia e Irlanda, è da considerarsi superiore), un quarto posto finale che sarebbe potuto essere terzo se la Scozia ( che ci ha sopravanzato per differenza-punti) avesse perso a Parigi con uno scarto più ampio, prima vittoria contro gli irlandesi nel Torneo ( che, al di fuori del Sei Nazioni, non battevamo, comunque, dal 1997) e, incredibile dictu, tante inversioni di tendenza: nessuna meta concessa agli avversari a fronte della nostra siglata da Venditti in apertura di secondo tempo, estrema pulizia e lucidità nei movimenti dei nostri a fronte del nervosismo dei verdi, penalizzati da tre gialli a fronte del solo cartellino sventolato sotto il naso di Parisse, e la forza, nel convulso finale, di tornare a pigiare sull’acceleratore quando gli irlandesi si erano rifatti sotto sul 15-16. Un tempo, avremmo chiuso noi a zero mete, tanta eroica difesa, nessuno spunto alla mano degno di nota, più cartellini gialli degli avversari, clamorosi cali di concentrazione nei minuti conclusivi. Va trovata la continuità perché, oggettivamente, il divario tra le vittoriose prestazioni con Francia e Irlanda unitamente a quella sontuosa nella cattedrale di Twickenham rispetto ai rovesci con Scozia e Galles è abissale e difficilmente spiegabile. Brunel, comunque, sta lavorando benissimo e la differenza di mentalità rispetto alla gestione Mallett è già evidente. Si attendono conferme dal tour estivo che ci vedrà impegnati con Springboks e Samoa. Ultima annotazione, doverosa, per salutare Brian O’Driscoll, anch’egli all’ultima apparizione in nazionale. Dovrebbe chiudere definitivamente con il rugby dopo il tour estivo con i Lions. Una leggenda vivente. Uscendo dai patri confini, il Torneo si è deciso nello scontro diretto di Cardiff dove il Galles ha travolto l’Inghilterra per 30-3, infliggendole la più pesante sconfitta nella storia ultracentenaria della loro sentitissima rivalità ( pensate, il bilancio è ora di 56 vittorie per parte e la prima sfida è datata 1881!), privandola, in un colpo solo, di Sei Nazioni, Grande Slam e Triplice Corona. Match durissimo ed equilibrato nella prima frazione, chiusa con i Dragoni avanti 9-3, ma senza mete. Nella ripresa, i padroni di casa, sospinti da un Millennium esaurito in ogni ordine di posti, dilagavano con due mete di Cuthbert nello stesso angolo ( la seconda, a seguito di un incrocio con Justin Tipuric, poi nominato man of the match, da antologia del rugby), dai piazzati di un Halfpenny quasi infallibile e coadiuvato anche dal piede meno esplosivo ma ugualmente preciso di Dan Biggar, autore anche di un eccellente drop. Una partita capolavoro per una squadra chiamata non solo a vincere ma a farlo con un margine di almeno 7 punti contro una rivale presentatasi al Torneo con i favori del pronostico. Il Galles, protagonista di una sensazionale metamorfosi rispetto alla squadra battuta a ripetizione nei tests estivi e autunnali e sconfitta anche all’esordio del Sei Nazioni dall’Irlanda a domicilio, ha confermato che se i suoi giovani talenti si esprimono al meglio non ce ne è per nessuno. Almeno nell’emisfero nord di Ovalia. Va sfatato il tabù delle grandi potenze dell’emisfero australe, ma se il processo di maturazione di Warburton e soci proseguirà senza intoppi, azzarderemmo anche un Galles da titolo per la prossima Coppa del Mondo.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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