Altri 6,2 anni dal 1990 e il Bel Paese si piazza al settimo posto in fatto di longevità.
In poco più che un ventennio, 1990 – 2013, nel mondo l’aspettativa di vita è aumentata in media di 6,2 anni, e di 5,4 anni quella in buona salute. Sono dati che emergono da uno studio che ha analizzato la diffusione delle principali malattie e il loro impatto sulla mortalità in 188 Paesi. All’analisi del ‘Global Burden of Disease study’, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista ‘The Lancet’, ha contribuito anche l’Ospedale materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste.
Ma non è così per tutti i Paesi. Se, per esempio, chi è nato in Nicaragua e Cambogia nel 2013 ha una speranza di vita in buona salute di gran lunga superiore rispetto a due decenni prima (rispettivamente +14,7 e +13,9 anni), in Lesotho e Swaziland (Africa meridionale) c’è stato invece un peggioramento (-10 anni). In generale, i Paesi con i più alti tassi di peggioramento sono tra i più poveri del mondo, tutti in Africa sub-sahariana. Quelli invece con i tassi più bassi di perdita di salute sono Giappone, Singapore, Andorra, Islanda e Israele.
A livello mondiale, le principali cause che compromettono il buono stato di salute risultano Hiv/Aids, cardiopatia ischemica, infezioni delle basse vie respiratorie, ictus, mal di schiena e incidenti stradali.
“Il mondo ha compiuto grandi progressi nel campo della salute, ma ora la sfida è investire nella ricerca di modi più efficaci per prevenire e curare le principali cause di malattia e disabilità”, ha detto il professor Theo Vos, dell’Università di Washington, autore principale dello studio.
Ma la marcia in più dei longevi non si può attribuire solo alla ‘fortuna’ di avere evitato malattia invalidanti o alla ‘bravura’ di essere riusciti ad adottare uno stile di vita sano: conta infatti anche cosa è scritto nel nostro codice genetico. Solo un mix che assicuri un buon equilibrio tra abitudini equilibrate e i geni implicati nella longevità, modificabili comunque attraverso una rivisitazione soprattutto dell’alimentazione che moduli l’attività del genoma, potranno assicurarci un buon livello di conservazione del fisico e delle facoltà cerebrali che saranno rese ancora più vitali se affiancate da una vita di relazioni affettive e sociali.
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