ll made in Italy realizza in Turchia il suo exploit nei paesi extra Ue, con un incremento di oltre il 40 per cento. «Perché la upper class del paese a cavallo tra Europa e Asia ama i prodotti italiani», spiega Domenico Menniti, ad della Harmont & Blaine, che realizza sportswear. E Massimo Carboniero, contitolare e direttore generale della vicentina Omera, produttrice di macchine utensili, rincara: «L’hi-tech italiano trova in Turchia tantissimo spazio».Il buon risultato dell’export verso la Turchia si inserisce però in un marzo 2011 a due facce per il commercio estero extra Ue, come spiega la stima preliminare Istat.
Infatti, la crescita congiunturale – quindi rispetto al febbraio del 2011 – è stata del 3,5 per le importazioni e dell’1,5% per le esportazioni, con un incremento anno su anno che si è mantenuto elevato (+24,2% per le importazioni e +16,5% per le esportazioni) pur se in decelerazione rispetto ai mesi precedenti. Cresce tuttavia il disavanzo che, se nel marzo del 2010 era pari a -1,5 miliardi di euro, a marzo di quest’anno è salito a -2,9 miliardi. Questo trend è dovuto principalmente all’aumento del disavanzo del comparto energetico, che è passato in un anno da -4,5 miliardi di euro a -5,2 miliardi. Ma l’incremento complessivo delle importazioni rispetto alle esportazioni riduce anche l’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici, che è passato dai tre miliardi di euro nel marzo 2010 ai 2,3 miliardi nello stesso mese del 2011. In particolare, è stata molto sostenuta la crescita delle importazioni dei prodotti intermedi, che ha raggiunto il 53,1%: una cifra che spiega da sola oltre il 55% dell’aumento complessivo delle importazioni e determina un saldo negativo di 1,1 miliardi di euro, a fronte di un incremento dell’export di prodotti intermedi al 21,5 per cento.Per quanto riguarda il trimestre, l’export ha toccato i 37,6 miliardi (+23% sull’analogo periodo 2010), con un disavanzo superiore agli 11,3 miliardi.Tra i mercati di destinazione, i tre più dinamici si sono dimostrati la Turchia (appunto +40,4%) la Svizzera (+35,5%) e la Cina (+32,7%). Ma perché questo boom delle vendite in Turchia? Per Menniti «ricordiamoci che stiamo parlando di un paese che ha 70 milioni di abitanti, con un Pil che nel 2010 è cresciuto di quasi il 9 per cento. Una delle 10 economie più dinamiche al mondo. Consideriamo inoltre che, a differenza di molte nazioni d’Europa, la Turchia non ha dovuto mettere mano, nel corso dell’ultima crisi, alle tasche dei propri cittadini per risanare i problemi bancari. Il salario medio è di 13.500 dollari, circa il 60% di quello italiano, e ci sono circa un milione di persone con una disponibilità finanziaria che supera il milione di dollari». Il paese, secondo Menniti, ha saputo avvantaggiarsi dall’essere fuori dalla Ue, cosa che gli ha consentito di gestire senza vincoli il proprio sviluppo economico. «Da parte nostra, prima di affrontare il mercato turco – chiarisce Menniti – abbiamo studiato a fondo il paese: lì c’è un notevole interesse a quello che è il “bello”, e non solo nel settore della moda. Nel 2010 abbiamo aperto uno shopping mall, e quest’anno prevediamo di aprirne altri tre, puntando a un fatturato in Turchia di circa 2 milioni di dollari nel 2012».Per Carboniero (la sua società, nel vicentino, realizza presse, rifilatrici e linee automatiche per la lavorazione della lamiera) «il mercato turco è interessante ormai da anni per chi, come noi, produce macchine utensili di fascia medio-alta. Per esempio, noi per fine maggio installeremo due linee di produzione automatizzate per la turca Hascevher, leader locale nella produzione di pentole. E si tratta di linee automatiche, che richiedono pochissimo personale, proprio perché da quelle parti si cerca l’eccellenza tecnologica».
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