Serata di alta tensione in un centro per migranti nella provincia veneta. A scatenare l’ira degli ospiti del centro è stata la morte improvvisa di una richiedente asilo di 25 anni, colpita da un malore e soccorsa con ore di ritardo. La rabbia si è trasformata in una rissa generale, e i volontari si sono barricati negli uffici del centro, dove sono rimasti fino a notte fonda.
Il teatro dei fatti di ieri è il centro di prima accoglienza (CPA) ospitato nell’ex caserma Silvestri, una struttura militare dismessa a Conetta, fra Chioggia e Rovigo, in provincia di Venezia.
La giovane migrante morta ieri si chiamava Sandrine Bakayoko, aveva 25 anni ed era originaria della Costa d’Avorio. Aspettava un figlio ed era in Italia dal 30 agosto, in attesa di una risposta alla domanda di asilo politico. Si sarebbe sentita male verso le 8 di mattina, ma l’ambulanza partita dall’ospedale di Piove di Sacco è arrivata solo alle 14, quando la giovane aveva già perso conoscenza e versava in condizioni disperate. I medici all’ospedale non hanno potuto fare altro che certificare il decesso. E nel campo, insieme alla notizia, si è sparsa un’ondata di rabbia.
I migranti hanno incendiato mobili e altri oggetti presenti nell’ex caserma, e gli operatori del campo – 25, tra cui due medici e un’infermiera – si sono barricati negli uffici amministrativi e in alcuni container, mentre i migranti si sfogavano prendendo a bastonate le pareti. Lo stallo è durato fino alle due di notte, cioè fino all’arrivo di polizia e carabinieri, che hanno permesso agli operatori di uscire in sicurezza. Nessuno di loro è rimasto ferito.
Nelle prime ore di stamattina è tornata la calma nell’ex caserma Silvestri. Ma nel frattempo sono emerse diversi questioni alle quali è urgente dare risposte chiare, a cominciare da quella che ha infiammato la rabbia dei migranti: da quando Sandrine Bakayoko ha avvertito i primi sintomi del malore all’arrivo dell’ambulanza sono passate almeno sei ore. I rappresentanti dell’ospedale di Piove di Sacco sostengono che il mezzo è partito appena è giunto l’allarme, ma anche di non essere stati contattati prima delle 13. Inoltre resta da spiegare perché la morte della giovane sia stata comunicata al magistrato di turno, Lucia D’Alessandro, soltanto nelle ultime ore del pomeriggio. La pm ha disposto l’autopsia per ricostruire le cause del decesso e ha chiesto ai carabinieri di indagare sulle circostanze, e solo allora i carabinieri si sarebbero diretti al campo, dove hanno trovato la rissa in corso.
Più di qualche sospetto emerge anche a proposito della cooperativa che gestisce l’ex caserma, la cooperativa EDECO – Ecofficina Educational Onlus. Sede a Battaglia Terme, ai piedi dei Colli Euganei, la coop gestisce tre grandi centri per migranti in Veneto: oltre a quello di Conetta ci sono anche le ex basi militari di Bagnoli di Sopra, in provincia di Padova, e Oderzo, nel Trevigiano.
Sul suo conto, come riporta un articolo de Il Sole 24 ore, sono in corso due indagini parallele. I magistrati di Padova indagano per presunti documenti falsi presentati in una gara d’appalto. I loro colleghi di Rovigo, invece, la scorsa primavera hanno aperto un fascicolo per maltrattamenti ai danni degli ospiti dei campi. A disposizione degli inquirenti c’è un video di un quarto d’ora, girato da un profugo, in cui Sara Felpati, la presidente dell’ONLUS, chiama i migranti “macachi”.
Oltretutto Ecofficina risulta sospesa da Confcooperative. Lo scorso settembre Ugo Campanaro, presidente della sezione veneta dell’associazione, ha spiegato di considerare quello di Ecofficina “un modello che guarda al business, non all’accoglienza”.
Non esiste una legge che impedisce di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura. Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza, della qualità dell’intervento, dell’integrazione e della relazione. E, per tutte queste ragioni, vogliamo prendere le distanze da questo soggetto e dalla maniera in cui opera.
In effetti nell’ultimo anno e mezzo, secondo l’agenzia AGI, la struttura di Conetta ha visto moltiplicare gli ospiti da 50 a 1400, ospitati in tendoni dove dormono a centinaia in letti a castello. Il tutto fra le proteste dei cittadini: il comune di Cona ha tremila abitanti, contando tutte le frazioni.
Tutto questo non ha impedito al prefetto di Padova, Patrizia Impresa, di accettare le offerte di Ecofficina. La coop “ha partecipato ai bandi e ha vinto”, spiegava il prefetto lo scorso 7 dicembre al Mattino di Padova, perché offriva “i requisiti previsti per legge”, con “un numero alto di posti messi a disposizione” e “il miglior prezzo offerto”. Insomma, nonostante le inchieste aperte, “non ci sono impedimenti per cui Ecofficina non possa partecipare al nuovo bando”. E così, un bando dopo l’altro, l’organizzazione è arrivata a fatturare più di 10 milioni di euro l’anno.
Nell’inchiesta di Padova è indagata anche Tiziana Quintario, una funzionaria della prefettura, con le accuse di turbata libertà degli incanti e falsa moralità commessa da pubblico ufficiale. E nelle carte ricorre spesso il nome di Simone Borile, il marito di Sara Felpati, che cura i rapporti di Ecofficina con la prefettura. Fino a tre anni fa Borile era direttore di Padova Tre srl, che si occupa di gestione e smaltimento di rifiuti, poi se n’è andato lasciandosi alle spalle un buco di 30 milioni nel bilancio. La questione è arrivata in tribunale e i magistrati hanno scoperto un intreccio di parentele, interessi e favori con ramificazioni in tutta la Bassa padovana. Una parentopoli che senza guardare alle tessere di partito – coinvolge figure legate tanto al centrodestra quanto al centrosinistra – tiene assieme sindaci, assessori, un onorevole – l’ex deputato DS Emiliano Manzato, a Montecitorio fra il 1996 e il 2001 – e la sorella di Barbara Degani, ex presidente forzista della provincia di Padova e oggi sottosegretario all’Ambiente in quota NCD.
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