La paura è di essere sommerse dall’innalzamento dei mari, cancellate dalle carte geografiche, spazzate via dal pianeta. Sono in 44 (39 isole stato e 5 osservatori), sparse tra oceani e continenti e riunite nell’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS), ad alzare la voce nei negoziati della Conferenza delle parti sul clima a Parigi che mirano a contenere sotto i 2 gradi Celsius l’aumento medio delle temperature rispetto all’era preindustriale. Un innalzamento superiore rischierebbe infatti di farle scomparire dalla faccia della Terra.
Nelle regole Onu, ciascuna nazione ha diritto a un voto, indipendentemente dalle dimensioni e così i Paesi insulari vogliono far pesare la loro opinione e chiedere un accordo più ambizioso, potendo muovere in totale un centinaio di voti compresi quelli altri Stati. Soprattutto quelli asiatici flagellati da inondazioni e tsunami, come Filippine e Bangladesh. La prospettiva di ‘affogare’ terrorizza le popolazioni che sarebbero costrette a migrare verso altri Paesi più sicuri. Insomma, si innescherebbe una catena di emergenze.
“Non prevediamo che alcun Paese sarà un problema”, ha commentato il segretario della Convenzione Onu sul cambiamento climatico (Unfccc), Christiana Figueres, spiegando che eventuali divergenze di posizione sono “salutari” in un processo che non vuole “andare contro l’interesse nazionale” di nessuno.
Aosis è una coalizione di piccole isole e paesi costieri molto bassi che condividono sfide simili dello sviluppo e preoccupazioni analoghe per l’ambiente, in particolare la loro vulnerabilità agli effetti negativi del cambiamento climatico globale, spiegano sul loro sito web. L’alleanza funziona innanzitutto come una lobby ad hoc e unica voce negoziale per i piccoli stati insulari in via di sviluppo (SIDS) all’interno del sistema delle Nazioni Unite.
Trentanove sono membri delle Nazioni Unite, rappresentano circa il 28% dei paesi in via di sviluppo, e il 20% del totale delle Nazioni Unite. Insieme, le comunità SIDS costituiscono il 5% della popolazione mondiale. Primo presidente di AOSIS è stato l’ambasciatore Robert Van Lierop di Vanuatu (1991-1994), seguito dagli ambasciatori Annette des Iles di Trinidad e Tobago (1994-1997), Tuiloma Neroni Slade di Samoa (1997-2002), Jagdish Koonjul di Mauritius ( 2002-2005), Enele Sopoaga di Tuvalu (presidente ff 2005-2006), Julian Hunte R. di Santa Lucia (2006), Angus Venerdì di Grenada (2006-2009), Dessima Williams di Grenada (2009-2011 ), Marlene Moses di Nauru (2011-2014), e l’attuale presidente, l’ambasciatore Ahmed Sareer delle Maldive. (2015).
Le 44 isole stato sono: Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Cape Verde, Comoros, Cook Islands, Cuba, Dominica, Repubblica Dominicana, Fiji, Stati federati della Micronesia, Grenada, Guinea-Bissau, Guyana, Haiti, Jamaica, Kiribati, Maldives, Marshall Islands, Mauritius, Nauru, Niue, Palau, Papua New Guinea, Samoa, Singapore, Seychelles, Sao Tome e Principe, isole Solomon, St. Kitts and Nevis, St. Lucia, St. Vincent and the Grenadines, Suriname, Timor-Leste, Tonga, Trinidad and Tobago, Tuvalu e Vanuatu. Le cinque isole con ruolo di osservatori sono Samoa americane, Antille olandesi, Guam, isole Vergini statunitensi e Porto Rico.
Intanto, tra i 180 Paesi che hanno presentato le loro ‘promesse’ sul clima alla XXI conferenza, in corso a Parigi, spicca la Cina: attualmente affatto virtuosa, introducendo già dal 2017 misure per rendere più efficienti condizionatori, acqua calda, illuminazione e motori elettrici, potrebbe nel giro di 40 anni diventare un Paese fondamentalmente mosso da energia pulita e a basso prezzo. Secondo un rapporto del WWF, la Cina potenzialmente è in grado addirittura di arrivare entro il 2050 a generare l’84 per cento della sua elettricità utilizzando fonti rinnovabili, e a un costo inferiore a quello che sopporterebbe se (per sventura dell’umanità, tra l’altro) puntasse sulle fonti fossili.
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