“Roma o morte…”. Mutuando intenzioni storiche ben più nobili legate al Risorgimento garibaldino oggi questa parola d’ordine, in un contesto molto più modesto anche se importante, è tornata prepotentemente di moda. Almeno per gli schierati e non certo disinteressati organi d’informazione legati a governo, Sinistra, Destra e poteri forti interessati a trasformare Roma per ovvie ragioni di potere e bottega, nella Stalingrado d’Italia in funzione anti Grillo.
Sulla questione Capitale e sulla crisi del Movimento Cinque stelle, alle prese con la prima vera prova generale per la gestione del Paese, c’è molto da dire. Intanto ripercorriamo i fatti. Il nuovo sindaco si insedia in Campidoglio alla fine di giugno. Nei primi sessanta giorni di gestione del potere si manifestano le prime difficoltà che nascono proprio all’interno del movimento, dove la voglia di avere spazi e visibilità per sé e le cordate di appartenenza e fedeltà politica a questo o quella corrente del movimento, provoca i primi screzi ed i primi scricchiolii. E sulla questione della scelta dei collaboratori più stretti per la Raggi arriva il primo cartellino giallo del Direttorio romano. Si parla di retribuzioni esagerate per esperti, assessori, e manager delle controllate e capi di gabinetto (acqua fresca comunque se tali importi vengono rapportati a quelli delle precedenti esperienze gestionali legate a Veltroni, Rutelli, Alemanno e Marino). Anche se su aspetti assolutamente marginali, Roma diventa un caso politico su cui si scatenano gli sconfitti del voto di maggio.
Per tutti i media, pubblici privati, grandi e piccoli, parte l’ordine d’attacco. Sul nulla, se alla fine, la polpa di tutta l'”ammuina” va pesata e ascritta ad una comunicazione di garanzia per l’assessore all’ambiente Paola Muraro. Non importa se la comunicazione riguarda il reato di “abuso d’ufficio”, tutto da valutare e capire, e cioè praticamente nulla, se si considera proprio il tipo di reato. Ma ancor meno se si pensa che questa pagliuzza da trasformare in trave viene scaricata su una persona inserita in posti chiave dell’amministrazione, più di dieci anni fa, proprio da una giunta di sinistra. Una fiducia peraltro confermata negli anni anche dalle altre amministrazioni, Destra compresa, che su di lei avevano mantenuto un atteggiamento di rispetto, stima per la sua onestà, e altissima considerazione professionale per il lavoro svolto e per il cristallino atteggiamento anticorruzione riconosciutogli dallo stesso Buzzi in una intervista rilasciata al Corriere della Sera dal carcere di Rebibbia.
Ma siamo davvero sicuri che qualcuno oggi non voglia far pagare all’assessore proprio quella sua azione contro i corrotti e i maneggioni cresciuti negli ultimi trent’anni all’ombra del Pd e della destra, di fatto garanti, dei meccanismi delinquenziali del “mondo di mezzo” che ha partorito, i tanti Buzzi, Odevaine, Venafro, Carminati e compagnia, mondo che ha sempre goduto di assistenza ed impunità per i legami consolidati con l’amministrazione capitolina sulla quale ora indaga la magistratura?
Poi il cartellino diventa rosso per la Raggi quando l’asticella dello scontro si alza sulla scelta di uomini chiave come l’assessore al bilancio Marcello Minenna. Su questa nomina si giocano le carte più significative perché quella opzione si lega indissolubilmente a quella dei capi di gabinetto e dei responsabili della segreteria tecnica e politica del nuovo sindaco. Una cooptazione che chiude il cosiddetto “cerchio magico” ovvero il politburo che in un rapporto di massima fiducia e competenza dovrà condividere con la prima cittadina la responsabilità di quanto accade o viene fatto a Roma, per Roma o contro Roma.
Ed è qui che il M5S commette l’errore più grave. Le decisioni vanno prese, il sindaco lo fa senza preoccuparsi troppo delle conseguenze e degli appetiti che queste cose scatenano. Ed ecco le omissioni, gli ammiccamenti, le dimenticanze, le furbate e le fughe che, quando arrivano le dimissioni di Minenna e del capo di gabinetto Carla Romana Rainieri, scaraventano i duri e puri del movimento di Grillo nel tritacarne di un problema strumentalizzato da chi quel movimento politico lo vorrebbe inchiodato al palo e non più in grado di nuocere al sistema.
Dunque? La Raggi vada avanti. I suoi sono peccati veniali rispetto al macigno dell’indecoroso sfascio in cui i suoi detrattori di oggi hanno scaraventato la città. Gode, sembra, del sostegno di Grillo e tanto basta. Tiri fuori le unghie e spieghi a chiare note che, dove siede, l’ha messa il 67% dei cittadini romani. Metta da subito all’incasso questo assegno fiduciario e non si curi dell’assalto mediatico pilotato da chi vuole un ritorno al passato. L’importante adesso è parlare con i fatti.
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