Se occorreva una conferma al fatto che la strada delle riforme resta decisamente in salita basta rileggere attentamente le parole del capo dello Stato Giorgio Napolitano pronunciate al termine della parata militare ai Fori imperiali e le reazioni dei partiti e di alcuni leader alle sue aperture. Accelerare i tempi e la soluzione dei problemi istituzionali che gravano sul Paese, avverte il Presidente, può aiutare a gettare le basi di una svolta politica che grazie ad un dialogo costruttivo potrebbe contenere e ridimensionare fortemente le difficoltà del momento. La crisi impone scelte e risposte. E di questo oggi sono tutti abbastanza consapevoli. Ma è sul come e quando uscire dalla palude delle pregiudiziali e dei veti che ci si interroga in queste ore di grande confusione e nervosismo.
Dalla sua il presidente Napolitano, blindando il governo Letta, ha fatto sapere, nel chiaro tentativo di offrire una via d’uscita, “che diciotto mesi sono sufficienti per fare le riforme”, a cominciare da quella che stabilisce le nuove modalità di elezione del Capo dello Stato. Ma quando di li a poco il Pdl, per bocca del vicepremier Alfano, ha ritirato fuori dal cassetto un tema tanto caro al centrodestra ma decisamente inviso a buona parte della sinistra che sostiene il governo e cioè quello del preidenzialismo o del semipresidenzialismo alla francese, si è scatenato subito il putiferio.
La prima bordata è arrivata da Niki Vendola leader di Sel. “Con la complicità di Letta e di una parte del Pd, un centrosinistra allo sbando –ha spiegato- consentirà a Berlusconi di seppellire la Costituzione”. Parole dure e senza appello sulle quali hanno fatto quadrato anche alcuni leader democratici come Bersani, Bindi e Orfini. “Il modello del nostro partito –ha chiarito l’ex segretario del Pd – esclude un uomo solo al comando”. Fin qui lo zoccolo duro del non dialogo che non fa dormire sonni tranquilli al partito di Epifani. Ma poi arrivano le prime timide aperture di chi, sempre nello stesso partito, non intende lasciare a governo (“neutrale” per bocca del presidente del Consiglio Letta) e ad una parte importante della sua maggioranza di giocare la partita in solitaria. Ed ecco gli affondi di Prodi, Veltroni e Renzi che avvertono “Dobbiamo sfidare il centrodestra sul presidenzialismo”. Scuole di pensiero ben lontane tra loro, difficili da conciliare e portatrici di due sole possibili conseguenze.
La prima: una volta capito che ci sono i numeri per dialogare e arrivare ad una proposta condivisa, anche se solo a maggioranza, il presidente Napolitano, d’intesa con Palazzo Chigi, potrebbe accelerare l’iter della riforma costituzionale giocando un ruolo da garante. La seconda: Il Pd, prima ancora di arrivare al congresso d’autunno potrebbe implodere su questo tema arrivando addirittura a spaccarsi con buona pace del governo e della tregua dei diciotto mesi chiesta con perentoria sicurezza dal Presidente della Republica. Il fatto comunque che quest’ultimo abbia voluto sollecitare la corsia preferenziale dell’elezione diretta del Capo dello Stato la dice lunga sulla necessità individuata di stabilire una priorità delle priorità. Una cartina di tornasole che Napolitano ha voluto presentare proprio nel momento in cui, ancora una volta, l’ex premier Berlusconi ha fatto sapere, in maniera eloquentemente destabilizzante che sulla questione giustizia il banco del governo potrebbe saltare in qualunque momento.
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