L’intelligenza artificiale cambierà il mondo? Partendo da questo interrogativo il percorso artistico “Robot ergo sum”, in esposizione a Roma, presso la Biblioteca Guglielmo Marconi, fino al 26 ottobre, cercherà di dare risposte circa l’interrelazione tra uomo e macchina. Problema che già un secolo fa Erich Fromm aveva analizzato il problema dal punto di vista sociologico, arrivando alla conclusione che “la civiltà sta producendo macchine che si comportano come uomini e uomini che si comportano come macchine”.
La collettiva d’arte contemporanea, che si inserisce nella più ampia manifestazione “Robot tra noi” – una serie d’eventi rivolti ai temi della robotica che tanto permea il contemporaneo, che termina il 31 ottobre – è curata da Pier Luigi Manieri ed espone le opere di Giampaolo Atzeni, Daniele Carnovale, Fernando Di Nucci, Lucio Fabale, Easypop, Esteban Villalta Marzi e Giancarlo Montuschi. Occhi puntati sulla fenomenologia della macchina, osservandone tanto i suoi significati archetipici quanto l’influenza nell’immaginario fantascientifico. Il titolo allude all’intelligenza e all’identità. Sono suggestioni che proprio Asimov esplora in Io, Robot tra il 1940 e i dieci anni successivi.
Il punto di partenza è il Frankestein di Mary Shelley a cui Fernando Di Nucci ridà “vita” attraverso le reinterpretazioni pittoriche dove “la creatura”, replica altrettante figure–icona, moltiplicando la concezione di entità in serie. La “donna” del Metropolis di Fritz Lang è invece oggetto dell’indagine di Giampaolo Atzeni che aggiorna la sua esplorazione dell’universo femminile con l’ “Eva” elettronica, cui fa da contraltare Terminator, monumentale riproduzione ad olio (con l’ipertrofica silhouette di Arnold Schwarzenegger), di Esteban Villalta Marzi, artista italo spagnolo da anni tra gli esponenti eccellenti della scena pop europea.
Non mancano le incursioni visive di Easy Pop nell’universo robotico nipponico immaginato da Go Nagai, fondato su mezzi da combattimento di puro ”metallo urlante”. Campeggiano, plastici, Jeeg e Goldrake, come pure il Grande Mazinga e Venus che inseguono, avvinti, Amore e Psiche, nel loro scultoreo abbraccio. Giancarlo Montuschi recupera la dimensione ludica del robot, giocattolo pionieristico e generazionale. Daniele Carnovale guarda, attraverso la sua tecnica mista, ai droidi “di servizio” D3po e C1p8, visti a specchio come una carta da gioco, oggetto dello studio di Lucio Fabale é Roy Batty, il “lavoro in pelle” più celebre e tormentato dopo Frankestein. Il suo replicante si propone come un doveroso richiamo cineletterario al Blade Runner di Philip K. Dick – Ridley Scott, laddove l’intelligenza artificiale si combina con la biomeccanica aprendo alla questione del rapporto tra sintetico e natura umana.
Fabale, coi suoi oli “pixellati”, è da sempre attento all’interazione tra pittura e video (cinema e videogioco) cui fa ricorso anche per il Data di Star Trek Next Generation, l’androide positronico che desidera essere “più umano dell’umano”.
Parallelamente alle opere, la mostra si compone dell’esposizione di oggettistica a tema: dai dischi originali delle sigle dei cartoni animati robotici, come Jeeg Robot, Daltanius, Goldrake, Gordian, ai giocattoli a essi ispirati. Dai “pupazzetti”, le action figure di Guerre Stellari, con il droide D3Po e il robot C1P8 in testa, ai libri, fino a fumetti originali d’epoca, ce n’è per tutti i gusti e le età.
Tuffiamoci dunque nel mondo della robotica, cercando comunque di tracciare un confine tra noi e le macchine, perché come disse Albert Einstein di queste ultime, un giorno, sì, “riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno”.
Erika Eramo
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