Si sono conclusi questo weekend i Quarti di finale della VII° edizione della Coppa del Mondo di rugby in Nuova Zelanda.
Sabato, le due sfide tra le esponenti dell’emisfero boreale, domenica quelle tra le formazioni dell’emisfero australe. Andiamo con ordine. Sabato, le prime a scendere in campo sono state l’Irlanda e il Galles. Sfida equilibratissima già in sede di pronostico, ancor di più lo è stata sul campo. Il Galles, in realtà, si era presentato sulla scorta di prestazioni molto brillanti e l’unica sconfitta, peraltro di un misero punto, era giunta al cospetto di un grande Sud Africa e solo per una clamorosa svista arbitrale ( non visto dentro un calcio di James Hook). Non poche perplessità aveva suscitato la scelta del Ct neozelandese dei “dragoni”, Warren Gatland, di puntare così drasticamente sui giovani, con il sacrificio di autentici totem come Stephen Jones ( relegato in tribuna), ma anche di James Hook e del capitano del Grande Slam del 2008, Ryan Jones ( entrambi in panchina), in favore di giovani, esordienti in una Coppa del Mondo, Rhys Priestland in testa. Ma ha avuto ragione lui. Eccome. E, infatti, sul campo, oltre al talento individuale gallese, si è vista la maggior freschezza e la maggior resistenza dei giovani capitanati da Sam Warburton . Gli uomini in maglia rossa con le tre piume di struzzo sul petto sono partiti a razzo, andando subito in meta con uno dei loro uomini di maggior esperienza, il “folletto” Shane Williams. Immediata, quanto sterile la reazione di O’Driscoll, O’Gara e soci. Solo un piazzato di O’Gara cui il Galles rispondeva con il purissimo talento di Halfpenny. Si andava così al riposo sul 10-3 per i gallesi. Nel secondo tempo l’enorme pressione irlandese portava al pari grazie ad una meta di Earls, trasformata da O’Gara. Ma qui entrava in gioco la stanchezza e l’anagrafe degli uomini di Declan Kidney. Il Galles ripartiva con una meta splendida per coraggio e scaltrezza di Mike Phillips, presto doppiata da quella di Jonathan Davies. L’Irlanda provava a rispondere ma senza costrutto e la partita finiva così, con una dimostrazione di solidità difensiva impressionante dei “dragoni”. Ora, in semifinale per la prima volta dalla prima edizione del Mondiale, nel 1987 proprio in Nuova Zelanda, nulla è proibito.
A seguire, la tradizionale sfida tra Inghilterra e Francia. Non avevano entusiasmato gli inglesi, ma le loro partite “toste” contro Argentina e Scozia le avevano vinte, confermandosi squadra da “grandi appuntamenti”. Ben peggio sembrava messa la Francia, uscita a pezzi sia contro gli “All Blacks”, sia con Tonga. Feroci le polemiche piovute sul capo del Ct, Lievremont. Inoltre, nei precedenti in Coppa del Mondo, gli inglesi avevano sempre rispedito a casa i “galletti”. La Francia, invece, sfoggiava una prestazione da serata di gala e, memore di essere una squadra imprevedibile anche nel bene, demoliva gli avversari ben oltre il 19-12 finale. La partita, di fatto, finisce nei primi 40 minuti: due piazzati di Yachvili, una meta di Clerc e una di Medard rendevano poco più che accademia i secondi 40’. E per chi ama questo sport non può non fare una certa tristezza vedere una (presumibile) ultima recita internazionale di Jonny Wilkinson, l’eroe inglese della Coppa del 2003, congedarsi dai grandi palcoscenici con una prestazione così incolore.
Domenica, hanno aperto le danze Australia e Sud Africa. Ci si attendeva una partita vibrante e spettacolare. Lo spettacolo è stato relativo, ma l’equilibrio è stato assoluto e c’è voluto un piazzato della giovane stella australiana O’Connor, ad otto minuti dal termine, per fissare il definitivo 11-9. Così i detentori del titolo devono abdicare, non tra qualche polemica sull’arbitraggio.
A chiudere, la sfida, sulla carta, meno incerta, quella tra “All Blacks” e i “Pumas” argentini. Non inganni il 33-10 finale. I sudamericani, con il loro coraggio e la loro grinta tengono gagliardamente botta per un’ora e, ad un certo punto, si trovano anche 7-6 sopra. L’Eden Park rivede i fantasmi di tante speranze mondiali mandate in frantumi sul più bello e, per lunghi tratti, resta avvolto in un’irreale silenzio. Ci pensano la regia occasionalmente affidata a Weepu, le mete di Read e Thorn, ma soprattutto la stanchezza, fisica e mentale, degli argentini, ridotti anche in 14 per l’espulsione temporanea di 10’ comminata a Vergallo, a rimettere le cose a posto e ad evitare l’ennesimo psicodramma nazionale. L’assenza del fenomeno Dan Carter si sente eccome e il suo primo sostituto, il giovane Slade, caricato di eccessive aspettative, sbaglia tutto o quasi. Appena meglio, la terza scelta nel ruolo di mediano d’apertura, Aaron Cruden. Ma giocare bene in quella posizione, per un ragazzo con soli 7 “caps” all’attivo e con quella pressione addosso, è impresa molto ardua. Si è dovuto sobbarcare un doppio lavoro il mediano di mischia, Weepu. Ma soluzioni così improvvisate, contro “Wallabies” ed, eventualmente, “dragoni” o “galletti” potrebbero non bastare.
Daniele Puppo
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