Dopo aver preso tempo, cercando di limitare il pesantissimo impatto della sentenza della Consulta che ha bocciato in blocco l’adeguamento delle pensioni introdotto con la legge Fornero, il Governo deve affrontare in maniera incisiva un rebus che potrebbe portare anche a una riscrittura del Def.
Ieri, al termine di una giornata palesemente nervosa, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha chiarito che “stiamo pensando a misure che minimizzino gli impatti sulla finanza pubblica, soprattutto in questa fase, nel pieno rispetto della Corte”. Una posizione arrivata dopo che il sottosegretario all’Economia, Zanetti, aveva parlato, seppure a titolo personale, di una rivalutazione a scalare escludendo, però, la restituzione a tutti dell’intera somma dovuta. Parole che avrebbero generato malumori nel Governo tanto che fonti di palazzo Chigi hanno fatto arrivare alle agenzie di stampa, nella tarda serata di mercoledì, il messaggio che su questo delicato argomento la posizione del governo sia quella espressa “attraverso le parole del ministro Pier Carlo Padoan”, privando così di fondatezza le indiscrezioni e ricostruzioni circa gli orientamenti dell’esecutivo.
Certo è che con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza della corte Costituzionale, e quindi con la piena validità della decisione delle toghe, i tecnici renziani dovranno trovare una copertura per una cifra che potrebbe salire addirittura a 13 miliardi di euro, forse anche di più stando alle stime della CGIA di Mestre che fissa la somma totale dovuta a oltre 16 miliardi di euro.
Un importo che fa paura, considerando l’esultanza del premier per l’individuazione di un ‘tesoretto’ di poco più di un miliardo e mezzo di euro, tanto da far accendere le spie di allarme anche a Bruxelles che non ha perso tempo nel ricordare all’Italia che dovrà applicare la sentenza rispettando però i vincoli del patto di stabilità.
Non solo. Ad aggiungere ulteriore pressione a una situazione già abbastanza delicata la precisazione della Consulta stessa circa il fatto che le sentenze che “dichiarano la illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge producono la cessazione di efficacia della norma stessa dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Da quel momento gli interessati possono adottare le iniziative che reputano necessarie e gli organi politici, ove lo ritengano, possono adottare i provvedimenti del caso nelle forme costituzionali”.
Così, mentre si vocifera che la soluzione a quella che potrebbe essere una bomba ad orologeria per le linee economiche del Paese potrebbe arrivare a inizio della prossima settimana, non accenna a placarsi la polemica politica nata su una delle riforme più discusse degli ultimi anni.
Zanetti, dalle colonne di Repubblica, è tornato a sostenere che “restituire a tutti è irrealistico. La soluzione più praticabile per noi di Scelta civica è quella della gradazione così da rispettare la sentenza ma rispettare anche l’equità intergenerazionale”.
Una posizione che il capogruppo Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta definisce “indecente” il comportamento del governo che “traccheggia, rimanda, rinvia. Tiri fuori questi 10, 12, 15 miliardi di euro e li ridia ai pensionati”. Duro anche Matteo Salvini che parla di “uno Stato ladro che ha derubato 6 milioni di pensionati dei contributi che hanno versato. Come si fa a decidere che erano pensioni alte quelle da 1.445 euro lordi. Se questa gente ha versato dei contributi è giusto che vengano restituiti fino all’ultimo centesimo con una letterina di scuse”.
Pesanti anche le reazioni dei sindacati. Romano Bellissima, segretario generale di Uil Pensionati ha dichiarato “Immorale emanare, prima, una norma anticostituzionale e pensare, poi, di non rispettare una sentenza della Corte Costituzionale, che ne sancisce appunto l’incostituzionalità”, mentre il Codacons, per voce del suo presidente Carlo Rienzi, si è detto pronto a “denunciare l’Inps per appropriazione indebita e inottemperanza all’ordine dell’autorità, nel caso in cui entro 10 giorni dalla Pubblicazione in GU non sia data applicazione alla sentenza”.
Questa vicenda, oltre che sui pensionati e sui contribuenti, rischia di pesare moltissimo sulle spalle politiche di Renzi. A un passo dalle elezioni regionali, il premier deve fare i conti con i mal di pancia sempre più diffusi nel suo partito dopo la vicenda Italicum, malumori che non sembrano destinati a diminuire tanto che Stefano Fassina questa mattina ha affermato che la scelta di Pippo Civati non è “solitaria”. “Lasciare un partito – ha spiegato – non è una scelta soltanto individuale. Voglio fare scelte condivise e coordinate con chi in questi mesi ha portato avanti proposte diverse dal governo Renzi. E comunque in queste ore sono completamente concentrato sulle correzioni profonde da fare al ddl scuola. Ora questa è la mia priorità” lasciando così intendere che ogni scelta potrebbe essere presa dopo l’approvazione del disegno di legge.
Intanto è stata calendarizzata per mercoledì prossimo la riunione di maggioranza per la nomina del nuovo capogruppo del Pd alla Camera. Un momento di riassetto interno che non aiuta quando la concentrazione dovrebbe essere focalizzata sulla soluzione di un rebus, quello delle pensioni, di difficile soluzione.
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