Giancarlo Galan
Un sistema di finanziamenti illeciti organizzato in una rete ramificata di corrotti e corruttori. E piuttosto ecumenico. Prodigo sia nei confronti di politici di sinistra che di destra. E’ questo il quadro che sta emergendo dalla lettura delle oltre 700 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, nell’ambito delle indagini sullo scandalo che si cela dietro al Mose.
Un’ organizzazione di tipo piramidale che avrebbe al suo vertice, in veste di gran burattinaio, Giovanni Mazzacurati, presidente di quello che in Laguna tutti chiamano “Il Consorzio”, ossia il Consorzio Venezia Nuova (Cvn). Un uomo spregiudicato. In possesso di un portafoglio contatti di ragguardevoli dimensioni. Secondo le dichiarazioni rese alla Procura da Piergiorgio Baita, presidente della società Mantovani, la più nota delle consorziate del Cvn, Mazzacurati avrebbe avuto contatti addirittura con Gianni Letta e con Giulio Tremonti.
Il presidente del Cvn come “grande capo”, quindi. Ma dietro di lui una folta schiera di personaggi altrettanto attivi nel “sistema Mose” e che vanno a comporre quasi l’intero consiglio direttivo del Consorzio: Alessandro Mazzi, vicepresidente del Consorzio e presidente del Cda di Mazzi Scarl e della Grandi Lavori Fincosit; lo stesso Baita, presidente della Mantovani; Stefano Tomarelli, consigliere di Condotte spa e presidente del consiglio direttivo di Italvenezia; Franco Morbiolo e Pio Savioli, gli uomini delle cooperative, il primo presidente del Cda del Consorzio veneto cooperativo (Co.ve.co), il secondo titolare di un contratto di collaborazione con il Co.ve.co. Praticamente l’83% delle quote del Consorzio.
Tutti assieme avrebbero costituito il cosiddetto “Fondo Neri”, una sorta di “salvadanaio” creato appositamente per elargire tangenti. denaro che poi rientrava attraverso “contratti per prestazioni tecniche fittizie e/o istante di anticipazioni sulle riserve sovradimensionate“, si legge nell’ordinanza.
Chi i destinatari dei soldi del “salvadanaio”?
Politici in primis, ma non solo. Nel novero rientrerebbero, infatti, sì Giancarlo Galan, ex governatore della regione Veneto e attua le deputato di Forza Italia, e Renato Chisso, assessore regionale alla mobilità e alle infrastrutture , anch’egli di Forza Italia così come Giorgio Orsoni, il sindaco di Venezia in quota Pd, e Giampietro Marchese, consigliere regionale sempre del Pd; ma anche l’ex generale della Guardia di Finanza, Emilio Spaziante, i magistrati delle Acque Cuccioletta e Piva, e il magistrato della Corte dei Conti Giuseppone. Di provenienza “Fondo Neri” sarebbe la “bustarella” di 200 mila euro consegnata da Baita a Galan attraverso Claudia Minutillo, la “dama nera” tuttofare dell’ex governatore che porta i soldi all’hotel Santa Chiara, e i 250mila che Chisso avrebbe ricevuto al Laguna Palace di Mestre. Sempre dal “salvadanaio” sarebbero stati reperiti i fondi per finanziare le campagne elettorali di Giorgio Orsoni e di Lia Sartori, ex eurodeputato dell’allora Pdl, non rieletta.
Ma quale sarebbe stata la “genialità” che ha consentito al “sistema Mose” di prosperare indisturbato per almeno dieci anni?
L’impossibilità (o quasi) di risalire al Consorzio. il Cvn, infatti, non figurava mai, poiché mai gli organi sociali deliberavano i finanziamenti. Ciò spiega perché i fondi venivano assegnati ad altre società che “formalmente effettuavano il finanziamento per la campagna elettorale, senza che comparisse il Cvn quale reale finanziatore della medesima“. Ulteriori delucidazione le fornisce in merito Nicolò Buson, direttore finanziario della Mantovani, quando spiega che: “le somme che venivano corrisposte ai politici locali erano il frutto di sovrafatturazioni provenienti dalle società…di rientri di false fatturazioni…e infine di guadagni, depositati sui conti svizzeri“.
A complicare ulteriormente il già delicato degli inquirenti anche la difficoltà di individuare il singolo atto specifico contrario ai doveri d’ufficio “perché vi era un rapporto così stretto tra pubblici ufficiali corrotti e corruttori che non vi era in molti casi il pagamento specifico per un atto specifico, ma un pagamento generalizzato…di funzionari e politici risultati a libro paga“.
Quanto all’atteggiamento ecumenico tenuto dal Consorzio, è sempre Baita a fornirne la spiegazione: “avere i soldi a monte e un ambiente favorevole a livello locale, dove avviene la spesa“. Il presidente della Mantovani, però, va ben oltre ed entra nel dettaglio delle difficoltà impreviste sorte con la nomina di Tremonti come ministro: “Tutto cambia al momento in cui il Mose entra in legge obiettivo, la legge speciale non serve più, quindi il Consorzio deve cambiare strategia e diventa fondamentale il Cipe. Il Cipe va benissimo fino a che non arriva Tremonti. Si interrompe il flusso dei finanziamenti. Qua è il guaio maggiore per il Consorzio, perché se il consorzio sta fermo con quella struttura che ha, i soldi che ha dato se li fa restituire tutti, perché consuma…è una macchina che consuma in sacco di soldi all’anno, per alimentare il consorzio, spese proprie, ci vogliono 72 milioni di euro all’anno, quindi se sta fermo un giro il Cipe per i consorziati è un guaio non da poco“. Il Cipe si ferma e questa volta non riesce neanche il pellegrinaggio da Gianni Letta di Mazzacurati, anzi il dottor Letta dice ‘io non riesco a fare niente, anzi ci siamo scontrati in Cdm con il ministro Tremonti, che è stato anche particolarmente sgradevole, accusandomi di qualche interesse personale sul Consorzio e dice a Mazzacurati ‘dovete trovare una strada per contattare Tremonti‘. Mazzacurati trova la strada. Trova la strada attraverso una società di Vicenza che si chiama Palladio Finanziaria, il suo direttore Roberto Meneguzzo, che fissa un appuntamento tra Tremonti e Mazzacurati. Mazzacurati va a Milano da Tremonti“.
Come termina la vicenda? “Mazzacurati che comunica ai soci del Consorzio del fatto che il costo dello sblocco del Cipe è di 500mila euro da consegnare a Milanese“. L’attività di intermediazione andò a buon fine, dunque. E così anche la successiva trattativa.
Ma come si è arrivati a scoperchiare questa pentola così maleodorante di un sistema apparentemente inespugnabile?
Un contributo decisivo lo hanno fornito i finanzieri con un’attenta analisi delle dichiarazioni dei redditi di molti personaggi implicati in questa squallida vicenda. Confrontando le entrate dichiarate con le spese effettivamente sostenute emergeva, infsatti, un’“evidente sproporzione“. Un indice chiaro, per la Procura, dell’esistenza di consistenti cifre incassate in nero. Basti pensare alla famiglia Galan, composta dall’ex governatore, dalla moglie e dai loro due figli, ha dichiarato dal 2000 al 2011 entrate di poco superiori a 1,4 milioni di euro, valore decisamente inferiore a quello delle spese fatte dai quattro nello stesso periodo e scovate dagli uomini della Guardia di Finanza e che ammonta ad oltre 2,6 milioni. Molto meno ampio il “gap” riguardante alla famiglia di Renato Chisso (l’assessore, la moglie e la figlia): “soli” 300 mila euro. Sufficienti, comunque, per gli inquirenti per nutrire fondati sospetti. Eclatante, poi, il caso dell’ex generale di GdF, Emilio Spaziante, che, assieme alla convivente, hanno dichiarato entrate per poco più di 2 milioni di euro, a fronte dei ben 3,8 dii uscite accertate dai finanzieri. “In questo caso emerge inequivocabile l’elevatissimo tenore di vita dalla scheda patrimoniale risultano auto sportive, barche di lusso, villa con piscina, prestigiosi immobili, nonché la frequentazione di costosissimi alberghi per i suoi spostamenti in Italia. Soggiorni settimanali a Milano in hotel da mille euro a notte“, il passaggio dell’ordinanza che riguarda Spaziante.
Ma siccome non ci si può far mancare proprio nulla, ecco l’immancabile capitolo relativo ad un’autentica “parentopoli”: “Al fratello di Cuccioletta ( magistrato delle Acque, ndr) un contratto di collaborazione per 40 mila euro… alla figlia un contratto con il Consorzio per 27.600 euro e l’assunzione della Thetis, controllata del Cvn”.
Infine, l’ordinanza riporta una dichiarazione di Claudia Minutillo, segretaria storica di Galan e supertestimone dell’inchiesta che costringerà gli inquirenti ad un “superlavoro” di approfondimento nei prossimi giorni: “Mi raccontarono che Neri del Consorzio aveva nel cassetto 500 mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti e li buttò dietro l’armadio quando arrivò la Guardia di Finanza. Loro sigillarono l’armadio e la sera andarono a recuperare i soldi“. Giusto precisare che Milanese risulta già sotto accusa e Tremonti no. Decisivi si riveleranno i prossimi sviluppi dell’inchiesta.
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