Turchia, continuano le proteste: si teme la guerra civile

Erdogan non ci ripensa, anzi ribadisce che il progetto che ha scatenato una bufera politica e mediatica nel Paese, andrà avanti. E ora c’è chi teme lo scoppio di una guerra civile.

Erdogan non ci ripensa, anzi ribadisce che il progetto che ha scatenato una bufera politica e mediatica nel Paese, andrà avanti. E ora c’è chi teme lo scoppio di una guerra civile.

Sono 10 mila i sostenitori che hanno accolto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan all’aeroporto di Istanbul al suo rientro dal nord Africa. Dopo una lunga settimana di proteste e manifestazioni antigovernative, il premier  ha scelto di non fare marcia indietro e conferma la sua volontà di portare avanti il progetto che prevede l’edificazione di un centro commerciale a Gezi Park.

Apparentemente, il suo discorso di fronte alla folla di sostenitori, si è aperto con toni più accomodanti di quello  che aveva tenuto prima della sua partenza. “Dicono che sono il primo ministro del 50 per cento dei cittadini. Non è vero. Abbiamo servito tutti i 76 milioni di turchi, dall’est all’ovest. Insieme siamo la Turchia. Siamo fratelli”, ha detto alle migliaia di persone che per ore hanno invaso e bloccato l’aeroporto della città. Erdogan ha poi continuato dicendo che “queste proteste al limite dell’illegalità devono cessare immediatamente”, parole più volte sovrastate dalle continue urla dei suoi sostenitori: “Schiacciamoli” o “Allah è grande”.

Ma il clima è divenuto subito meno tollerante, quando il premier turco ha definito “inaccettabili” le richieste avanzate delle ottanta associazioni a Taksim, raggruppate sotto la sigla di Solidarietà, riguardanti la difesa di Gezi Park, uno dei più importanti simboli laici del Paese, nonché fulcro delle proteste, la rinuncia dei lacrimogeni e dei cannoni d’acqua, il licenziamento dei capi della polizia di Ankara e Istanbul, il rispetto della libertà di espressione e la garanzia che il polmone verde della città non sarà toccato. Nulla da fare, Erdogan non ci sta e la paura per lo scoppio di una guerra civile si fa sempre più grande, in un paese designato a entrare nell’Unione Europea.

Ad attendere il premier non c’erano solo sostenitori  dell’Akp, ma anche molti oppositori riuniti nel centro di Istanbul e di Ankara a mandare avanti la protesta. Una protesta in cui la difesa del parco sembra essere un’opportunità per aderire a un movimento antigovernativo e per opporsi a un governo visto come dispotico e autoritario e letteralmente occupato a islamizzare uno Stato tradizionalmente laico e fortemente legato al commercio e all’ideologia occidentale.

E, in quella che sembra essersi trasformata in una delle crisi politiche più significative che hanno coinvolto la Turchia negli ultimi decenni, anche la comunità internazionale è intervenuta, preoccupata per  i pesanti interventi di repressione messi in piedi dalle forze dell’ordine e per il rispetto dei diritti umani violati nelle manifestazioni in cui hanno trovato la morte quattro persone e circa 4.300 sono rimaste gravemente ferite.

I.V.

 

 

 

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