L’unico dubbio sulle elezioni in Friuli Venezia Giulia era rappresentato dal quorum con il quale la Lega, ovvero Salvini ed il centrodestra avrebbero vinto la consultazione. Massimiliano Fedriga, nuovo governatore leghista porta a casa un risultato più che lusinghiero, straordinario: il centrodestra straripa oltre il 57 per cento mentre il suo partito si assesta oltre il 30 per cento, con Forza Italia e Fdi che escono rafforzati rispetto al 4 marzo. Ancora una batosta per il Pd che perde la regione già governata dalla Serracchiani e si ridimensiona di molto il consenso intorno al Movimento Cinquestelle dove Alessandro Morghera con l’11% appena dei voti, lascia sul terreno più della metà dei consensi raccolti dal partito di Di Maio solo due mesi fa.
Ora si tratta di capire come Salvini, Di Maio e Renzi intendono trattare questo risultato nella delicata partita per Palazzo Chigi. Ovviamente il più gasato della compagnia resta il capo della Lega. I numeri, la logica e la gente che contatta senza risparmiarsi sono con lui. E non solo al Nord dove la tradizione ed il buon governo stanno premiando la Lega al di la di ogni più benevola aspettativa. Il suo autocontrollo anche quando di Maio gli ha sbattuto la porta in faccia per cercare un impossibile accordo con il Pd di Renzi che ieri ha definitivamente chiuso ogni prospettiva a questa eventualità, lo stanno rendendo politicamente simpatico. E a votarlo sia in Molise che in Friuli sono stati tanti, molti di più di quanti avrebbero votato la Lega al di là del suo segretario.
Con Salvini con il vento in poppa, per gli altri a questo punto della partita, resta poco da fare. Il Pd, come dicevamo, si è chiamato fuori per le ragioni che sono sotto gli occhi di tutti, ed oggi più che mai il rischio implosione-scomparsa è molto più che una semplice ipotesi. Ad ammetterlo è lo stesso “reggente” Martina che comincia a chiamare a raccolta quanti ora devono porsi seriamente il problema della segreteria e del partito. “Cosi non si può andare avanti” ha sentenziato dopo le dichiarazioni dell’ex premier che ha bocciato senza appello le aperture al movimento Cinque stelle.
Di Maio da parte sua, dopo aver fatto saltare i ponti con il centrodestra, ora si trova di fronte ad un’unica alternativa: quella di andare alle urne al più presto. Magari a giugno. Salvini però ha salutato questa ipotesi rispondendo picche al segretario M5S ed ora è chiaro che quello che Di Maio non può più fare, in questo momento è dare le carte.
Poteva farlo se si fosse lasciato alle spalle una via d’uscita. Il braccio di ferro con Salvini sulla presenza o meno nella compagine di governo di Berlusconi gli è stata fatale. Il tentativo di dividere il centrodestra è fallito miseramente ed ora al presidente Mattarella restano poche chance per uscire dal tunnel in cui la strategia dei Cinquestelle ha infilato la situazione. Si tratta di vedere le prossime mosse del capo dello Stato ma la strada obbligata sembra essere solo una: intesa su una riforma della legge elettorale per cancellare l’obbrobrio del Rosatellum e poi tutti di nuovo al voto.