I dirigenti pubblici inadeguati al ruolo che ricoprono potranno essere licenziati, ma lo stesso trattamento non potrà essere riservato al personale della pubblica amministrazione, che al contrario dei dipendenti privati non potrà essere messo alla porta se non per giusta causa.
Lo ha annunciato Marianna Madia, Ministro della Pubblica amministrazione, presentando la riforma del suo settore appena approvata dal Governo.
Il progetto di riforma, che nei prossimi giorni dovrà essere sottoposto all’esame delle Camere, è ambizioso, tanto che il Ministro lo ha definito “una vera rivoluzione”. In passato, infatti, sono stati molti i disegni di riforma della pubblica amministrazione naufragati per l’opposizione dei dirigenti pubblici.
Se la riforma sarà approvata, questi ultimi saranno iscritti in un ruolo unico nazionale: non esisteranno più dirigenti delle singole Regioni o amministrazioni. Questo comporterà naturalmente una certa mobilità a livello territoriale.
La carriera dei dirigenti pubblici, inoltre, si articolerà per contratti triennali rinnovabili solo una volta, e potrà progredire o regredire in base alle valutazioni di una commissione tecnica super partes incaricata di valutare le loro competenze, i loro risultati passati e anche la loro capacità di scegliere i propri collaboratori.
I dirigenti che non saranno confermati, e rimarranno senza incarico per troppo tempo, perderanno via via le loro abilitazioni; alla fine, come abbiamo accennato in precedenza, potranno essere licenziati.
Il Governo, ha spiegato la Madia, si è trovato a dover scegliere fra uno spoils system in stile anglosassone, cioè un sistema in cui il Governo affida gli incarichi più importanti a dirigenti che condividano la sua linea politica, il cui mandato termina nel momento in cui cade l’esecutivo; e un regime in cui i dirigenti operano in autonomia e indipendenza, e le nomine sono decise soprattutto in base a criteri di competenza anziché sottoposte a vincoli politici.
A far propendere il Governo per la seconda ipotesi, quella dell’autonomia della pubblica amministrazione rispetto all’indirizzo politico, è stato lo spirito della Costituzione.
Ma autonomia e indipendenza, ragiona il Ministro, non devono essere alibi che nascondono l’inamovibilità dei dirigenti e la progressione automatica delle loro carriere.
Sempre in tema di pubblico impiego, la Madia ha confermato che il Jobs act non sarà esteso ai dipendenti pubblici, per i quali resterà in vigore lo statuto con il vecchio articolo 18.
Nella riforma della pubblica amministrazione, tuttavia, troveranno posto norme che semplificheranno i procedimenti disciplinari per scarso rendimento, nel tentativo di limitare i casi di assenze di massa o sospette.
La PA dovrà smettere di stipulare contratti di collaborazione a termine, ha annunciato il Ministro, e stabilire un sistema sano di assunzioni.
A quel punto si potrà pensare di sbloccare i rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici, fermi dal 2008, con una perdita di potere d’acquisto che i sindacati hanno stimato oltre il 10% negli ultimi quattro anni.
Dipenderà sicuramente dall’andamento dell’economia nazionale, ma questa sarà a sua volta influenzata dal successo delle riforme, ha tenuto a precisare la Madia.
Prima di poterlo fare, però, bisognerà trovare una sistemazione a circa 20 mila lavoratori, in un piano di mobilità che farà da prova generale all’operazione varata con la riforma.
Si tratta dei dipendenti delle Province che si occupano di quelle attività che la legge Delrio ha sottratto alle loro competenze. Per ricollocare loro, la Pubblica amministrazione ha bloccato le assunzioni per due anni.
L’ultimo ostacolo per la loro ricollocazione è la definizione delle tabelle di equiparazione degli inquadramenti nei diversi settori del ruolo pubblico. Il dicastero della PA sta collaborando con il Ministero dell’Economia alla definizione delle tabelle, e stando a quanto afferma il ministro Madia il lavoro sarà completato entro la fine di marzo.
Filippo M. Ragusa
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