Ripulire le aree verdi di Roma, per renderle nuovamente vivibili e godibili a tutti i cittadini. È questa la finalità di un ambizioso progetto pilota sponsorizzato dall’AMA che verrà realizzato da Anagramma Onlus e l’associazione Gruppo Idee: due realtà associative molto diverse eppure incredibilmente affini. La prima si occupa di integrazione sociale, partendo dalla condizione di disabilità. La seconda affonda le sue radici nel mondo carcerario. Ma cos’hanno in comune queste realtà?
Per capirlo meglio abbiamo rivolto alcune domande al presidente di Anagramma Onlus, Cristiano Ceccato.
Come nasce l’idea del progetto “Ama e vivi meglio”?
Per spiegare questo progetto pilota, è necessario fare una piccola premessa. Anagramma Onlus è nata nel 2009 con l’obiettivo di portare alla luce le problematiche delle persone diversamente abili legate al territorio dove vivono, e di trovare sbocchi nel mondo del lavoro. Durante questo percorso, ci siamo resi conto che era impossibile portare avanti questo proposito senza fare un profondo lavoro di integrazione sociale: sia tra persone con diverse disabilità, che tra i cosiddetti normodotati e non. Un’operazione affatto semplice e tanto meno scontata che abbiamo avuto la fortuna di portare avanti insieme a realtà che condividono i nostri stessi valori, come l’associazione Gruppo Idee, nata a Rebibbia, che si occupa di reinserimento lavorativo dei detenuti.
Ma cos’hanno in comune persone diversamente abili e carcerati?
Entrambi vengono considerati molto spesso “scarti sociali”: inutili, se non dannosi, da un punto di vista meramente produttivo. Per questo la realtà di emarginazione e ghettizzazione che vivono sono molto simili, psicologicamente parlando. Possono infatti parlare lo stesso linguaggio, vivendo due mondi separati ma paralleli, e hanno trovato un punto d’incontro parlando di prigionia: in senso oggettivo e in senso lato. Ognuno di essi ha iniziato un confronto scoprendo molti punti in comune: discriminazione, allontanamento sociale. Inoltre, seppur per ragioni molto diverse, nessuna di queste due categorie ha accesso al mondo del lavoro: questo crea un notevole danno sia da un punto di vista personale che da un punto di vista sociale. Per il diversamente abile è un’umiliazione e una sconfitta. Per il carcerato è la dimostrazione che sono ancora troppo pochi i programmi di riabilitazione. Per la società sono risorse inutilizzate che implicano costi. Ma, nella realtà, stiamo parlando di persone che, come tali, possono dare e offrire molto.
Può spiegarsi meglio?
Troppo spesso si pensa che, soprattutto in momenti di crisi, non si possano né si debbano “sperperare” risorse economiche per progetti riguardanti una piccola parte della popolazione. Tramite questo progetto abbiamo invece la possibilità di dimostrare non solo che non si tratta di uno spreco, ma di un investimento altamente conveniente sotto molti punti di vista, in primis quello economico.
In che senso?
La manutenzione delle aree verdi implica dei costi non indifferenti, sia di materiali che di personale. Utilizzando detenuti e diversamente abili questi costi si dimezzano automaticamente. Non solo, da una parte i detenuti hanno la possibilità di affrontare un concreto progetto di riabilitazione: imparano un mestiere e, interagendo con persone portatrici di disabilità, imparano anche a relazionarsi con il prossimo. Dall’altra, le persone diversamente abili vengono poste in una condizione di parità: anche loro imparano un mestiere ed anche loro sono costrette ad uscire fuori dal loro guscio mentale dovendo interagire con la realtà carceraria. Al di là delle patologie da una parte e della detenzione dall’altra possono essere impiegati per le mansioni a loro idonee. Dove non arriva un disabile in carrozzina subentra il carcerato per il raggiungimento di un obiettivo comune.
I benefici sono molteplici. I più evidenti sono dal punto di vista personale: c’è una crescita dell’autostima della persona che la base necessaria all’acquisizione, seppur parziale, di autonomia.
Ma, di pari importanza, sono gli effetti sulla collettività: disabili e detenuti non lavorano solo per loro stessi, ma per la comunità intera. Ed è proprio la comunità che acquisisce un valore aggiunto: vedendo materialmente queste persone lavorare, si abbattono automaticamente quelle barriere mentali inconsce che ci fanno temere il “diverso da noi”. Solo in questo modo è possibile portare avanti una reale integrazione sociale.
E il ruolo dell’AMA?
La mia associazione ha trovato nella figura del presidente Piergiorgio Benvenuti un prezioso sostenitore. Abbiamo già avuto modo di collaborare per un progetto sulla raccolta differenziata nel Municipio IV di Roma, oggi III. Crediamo che le tematica ambientale sia molto importante: per questo siamo molto grati della nuova sponsorizzazione da parte dell’AMA che conferma, a sua volta, l’attenzione dell’azienda alle problematiche sociali.
Da come parla sembra veramente tutto semplice, ma se lo fosse ci sarebbero molti progetti analoghi.
In realtà lo è, bisogna semplicemente fare lo sforzo di non limitarsi alle apparenze. Ed avere la fortuna di trovare realtà disposte a collaborare, che condividano gli stessi obiettivi e valori. Come dice il motto di Anagramma Onlus: “ Insieme si può”!
C.D.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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