“La bolletta energetica in Italia? Potrebbe tranquillamente ridursi se si sfruttassero le fonti energetiche che ci sono nel territorio”.
In un momento di ripresa dalla crisi, con il sostegno delle politiche monetarie della Bce e il presupposto di portare a casa, in Italia, riforme strutturali importanti, ‘scoprire’ che il Paese potrebbe ridurre non poco i costi sostenuti per acquistare gas da altri paesi, è sempre una notizia da mettere sotto il mattone. “Potremmo guadagnare in termini di bilancia commerciale 6 miliardi di euro”, sostiene convinto Marco Arcelli, direttore Upstream Gas di Enel, che aggiunge “rappresentano un importante presupposto per garantire autonomia ed efficienza al nostro gruppo”.
Arcelli responsabile degli investimenti nelle attività di esplorazione e produzione di gas e nello sviluppo delle infrastrutture di trasporto, è un esperto più che titolato ad affrontare temi caldi come l’approvvigionamento energetico nazionale. Temi che, alla luce anche dell’escalation terroristica nel nord dell’Africa, mettono ben in evidenza il rischio per le attività industriali italiane in quelle aree. E al riguardo basta pensare che l’Eni ha dovuto ritirare il suo personale straniero dai suoi stabilimenti in Libia a metà dello scorso febbraio.
Arcelli, il rischio è davvero così palpabile?
“Noi siamo presenti nel nord dell’africa, principalmente in Algeria, Marocco e nel prossimo futuro saremo anche in Egitto. Non direttamente in Tunisia e in Libia dove perdurano i problemi òlegati alla sicuurezza delle maestranze impegnate nelle estrazioni di petrolio e gas. Il problema vero, però, è rappresentato proprio dalla Libia che differenza degli altri paesi sconta una vocazione tribale che genera un problema di coesione sociale. E di terrorismo”.
Quindi per adesso operate solo in contesti di relativa stabilità?
“La primavera araba oggi è un percorso che l’Algeria ha vissuto già nei decenni passati. Hanno attraversato il dramma della guerra civile, e non c’è l’intenzione di vivere quella stagione nuovamente. Ovvio che prima o poi ci sarà una transizione dopo Bouteflika, ma ritengo sarà uno sviluppo naturale di quello stato”
Nessun timore di una nuova In Amenas?
“Anche in quel caso, la drammatica presa di ostaggi del 2013 nel sito di estrazione del gas di Tigantourine fu un problema di terrorismo. La lezione imparata da quella tragedia fu il rafforzamento della security per i lavoratori. Per ogni blocco di operatori impegnati, ad esempio, in cantieri nel deserto, l’esercito algerino fornisce quattordici militari di scorta più altre di supporto. Uno sforzo logistico operativo imponente, ma che dimostra come la sicurezza sia prioritaria. Oggi si effettuano ricognizioni preventive con i droni, si sequestrano armi. Di base però, questi potenziali rischi sono tutti prodotti da sconfinamentido terroristi e bande provenienti dalla Libia”.
Quindi è la Libia che genera preoccupazione?
“Ad oggi in Libia c’è il governo di Tobruk, il governo autoproclamato di Tripoli e Misurata nel mezzo. La situazione è davvero complicata. Si torna al problema di coesione sociale e a quello legato al terrorismo estremista. Oggi la Libia esporta instabilità. In Tunisia l’attenzione è alta, ma le reazioni all’attentato al museo del Bardo sono state trasversali, dal parlamento ai cittadini. La solidarietà dimostrata è indicativa del fatto che episodi di quel genere possono essere sporadici. Soprattutto, non c’è una lotta tribale tra opposte fazioni e tanto le Istituzioni quanto le società petrolifera sono intenzionate a mantenere vivi i rapporti già in essere”.
Quali possono essere le ripercussioni di questo contesto caldo sull’approvvigionamento energetico?
“L’ottica è quella di operare in modo tale da garantirci un sicurezza delle risorse. Siamo in Algeria, ad esempio, perché le tensioni in Russia hanno imposto di guardare anche altrove. La Russia esporta circa 130 miliardi di metri cubi di gas in Europa. Il timore di interruzioni, rilevanza di mercato, e costi è dunque ben comprensibile. Quello che deve essere considerato è che, nel frattempo, un paese esportatore come l’Egitto, oggi deve importare. La Libia stessa, che immetteva nel mercato circa 10 miliardi di metri cubi di gas, con le sue tensioni interne non può garantire le forniture con costanza. L’Algeria ha una capacità di esportazione di 60 miliardi di metri cubi l’anno, circa la metà della Russia. Per avere un ordine di grandezza, il fabbisogno italiano è di 61 miliardi di metri cubi annui”.
Come si pensa di garantire un mercato alternativo che non lasci l’Italia priva di risorse?
“Supportando l’industria locale, ad esempio. Abbiamo messo in piedi un portafoglio di progetti, il primo partirà nel 2018, gli altri a distanza di due o tre anni gli uni dagli altri, che consentano all’Algeria di uscire dai problemi di sotto investimento infrastrutturale patiti negli ultimi anni. Questo ci pone in una situazione di controllo di circa un terzo della nuova produzione di gas nei prossimi 10 anni, con una fornitura competitiva e alla quale rete siamo già direttamente connessi – attraverso il Transmed, il gasdotto che unisce Tunisia e Italia “
L’Italia è davvero destinata alla perenne sudditanza energetica da altri Paesi?
“Il nostro paese potrebbe coprire il 20% della domanda interna per almeno 20 anni a un costo inferiore del 30% a quello attuale dell’import. Stime vogliono che questo possa produrre risorse per 2 miliardi di euro, quanto la metà della manovra Imu, con un rapporto positivo tra bilancia commerciale e costo del debito. Una simile scelta produrrebbe solo benefici”
E invece?
“In Italia tutto è molto macchinoso, difficile. Agiamo con molta pazienza”
Possibile che il Governo non recepisca stime del genere? Insomma, si parla di miliardi di euro, bisognerebbe fare ponti d’oro…
“Il governo è ovviamente attento a questi argomenti. All’interno di alcuni decreti o leggi, però, non infrequentemente spuntano cose assurde. L’ultima, ad esempio, è l’inserimento tra i reati ambientali, dell’uso dell’Air Gun – un sistema che viene utilizzato per studiare i fondali marini ndr -. Viene utilizzato in tutto il mondo per studiare i fondali, le faglie e noi, per la legge, rischiamo di diventare l’unico paese al mondo a non poterlo usare. Oggi si sta lavorando per ritirare questa parte della norma”.
Quindi, ragionando per ipotesi, se domani venisse stralciata la norma sull’uso dell’Air Gun, cosa accadrebbe?
“Abbiamo già un progetto in sviluppo che dovrebbe entrare in produzione nel 2017 in Emilia Romagna. Sempre in quell’area ci sono altri tre pozzi esplorativi che potremo valutare nel giro di un anno. L’entrata in produzione potrebbe avvenire nel giro di pochi anni. Abbiamo anche licenze esplorative in Piemonte, Adriatico, Ionio e in Spagna, offshore nel mediterraneo. I temi geologici che abbiamo riscontrato sono simili a quelli del mediterraneo orientale, un’area dove negli ultimi 5 anni sono stati scoperti oltre mille miliardi di metri cubi di gas”.
Tutta statistica?
“Le stime che abbiamo sono abbastanza affidabili. Si va poi per approssimazioni successive. Ci sono i giacimenti scoperti, che danno ragionevole certezza; quelli da scoprire su cui ci sono studi e sui quali si va per calcolo delle probabilità, e poi ci sono le ‘idee esplorative’ costruite su analoghi giacimenti”
Insomma, dalle centrali a reti e nuove tecnologie: è cambiato il focus strategico?
“In generale puntiamo ad asset regolati o contrattualizzati, poi rinnovabili e reti, perché il rischio è minore. I ritorni sono interessanti e i tempi per il cash flow si riducono a meno di due anni. Oggi le centrali vengono dismesse, e gli investimenti vengono dirottati sulle nuove tecnologie e sui paesi con economie in fase di sviluppo”.
Ora si guarda all’efficienza pura. Se, incidentalmente, si accelerassero i tempi, riducendo i costi energetici, per i cittadini, non solo l’innovazione verrebbe percepita con più incisività , ma diventerebbe un altro filone di traino per una economia come quella italianache deve concretizzare la ripresa.
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