L’Italia, sulla banda larga, è “sull’orlo della retrocessione in serie B”. L’allarme è del presidente dell’Autorità per garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò, che nella Relazione annuale al Parlamento avverte: “La percentuale di abitazioni connesse alla banda larga (fisso e mobile) è inferiore al 50%, a fronte di una media europea del 61%”. Inoltre “esiste ancora un 4% di digital divide da colmare, cui si aggiunge circa il 18% della popolazione servita da adsl sotto i 2 Mbit al secondo”. Tutto questo, conclude, “potrebbe anche precludere all’Italia la possibilità di estendere il servizio universale alla banda larga”.
Calabrò rileva in generale che nelle tlc “abbiamo un’Italia a due velocità”. A fronte della grande diffusione della telefonia mobile, con oltre una sim e mezza per abitante e con i 12 milioni di italiani che navigano dal telefonino (e con i problemi di traffico già evidenziati nella Relazione dello scorso anno), “nella rete fissa, invece, la situazione è più stagnante, sebbene oltre 5 milioni di linee siano attive in unbundling e nonostante il miglioramento della qualità della rete. La penetrazione del 22% della banda larga fissa migliora il dato del 20,6% dello scorso anno ma rimane indietro rispetto alla media Ue del 26,6%”. Insomma, “il modello della connessione dal computer fisso ancora non si afferma: non ci si abbona alla banda larga anche quando è disponibile e spesso anche con tariffe promozionali convenienti”, anche perché “il fondamentale gap digitale dell’Italia è innanzi tutto culturale e di alfabetizzazione informatica”. La valorizzazione dei contenuti on line come antidoto alla crisi del settore editoriale: è la strada tracciata dal presidente dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazion. Nell’editoria, sottolinea, “prosegue la riduzione delle copie vendute; le risorse attivate complessivamente diminuiscono (-4,5%), anche se nell’ultimo anno la raccolta pubblicitaria sulla carta stampata è rimasta pressoché costante”. Per Calabrò, “la valorizzazione dei contenuti editoriali on line è il giusto percorso. Sta di fatto – sottolinea – che la raccolta pubblicitaria on line complessiva, sganciata dal concetto sempre meno definito di editoria (includendo cioé tutti i siti web e i motori di ricerca), cresce significativamente sino a sfiorare il miliardo di euro”. A fare la parte del leone è Google, “il giocatore più importante, pur in presenza di concorrenti qualificati provenienti sia dai media classici, sia dal mondo delle telecomunicazioni”. Anche nel nostro Paese è boom dei social network, che ovunque “stanno cambiando la società, il costume, le forme di democrazia, l’uso dei diritti”, come dimostrano le vicende del Nord Africa e del Medioriente, ma gli italiani restano sostanzialmente tele-dipendenti quando si tratta di informarsi. “Nonostante le nuove tecnologie/piattaforme frammentino l’audience e spostino l’attenzione sulla rete – e benché gli italiani siano fra i più avidi consumatori di social network – il caso Italia – rileva il presidente dell’Agcom – evidenzia come sia ancora la tv il veicolo di gran lunga prevalente per l’informazione: quasi il 90% nel 2010; poi vengono i quotidiani col 61%; Internet è per ora soltanto al 20%”. Il modello di tv tradizionale resta vincente: “Le sei reti generaliste di Rai e Mediaset – sottolinea Calabrò – conquistano ancora oltre il 73% di share medio giornaliero (in in particolare, le reti Rai il 38,3% dello share medio dell’anno 2010, quelle Mediaset il 35,2%, ndr). La7 poco più del 3%. I canali tematici Rai e Mediaset rappresentano complessivamente il 5,4%. Tutti i canali Sky circa il 5% (inclusa Fox)”. E dunque “malgrado un apprezzabile aumento degli ascolti dei canali tematici (+11%), il modello tradizionale imperante della tv generalista tiene ancora. E i principali broadcaster sono più o meno gli stessi”. Calabrò spinge la sua analisi sulla centralità della tv nel sistema dei media anche sul fronte politico: “Se da una parte il processo di convergenza tecnologica giustifica una riflessione sul pluralismo ‘multimediale’, dall’altra una visione realistica del nostro Paese non può ancora prescindere da una particolare attenzione alla tv di casa nostra. ‘In un secolo in cui l’informazione è poteré – sottolinea citando Barack Obama – la televisione ne rappresenta la forza d’occupazione”. Di qui la scelta di indicare “al Governo e al Parlamento l’opportunità di prorogare il divieto di cumulo tra stampa e tv”, segnalazione – rivendica Calabrò – accolta dal Governo. Una nuova governance ‘duale’ della Rai che separi ”la funzione di servizio pubblico” da ”quella piu’ a vocazione commerciale”: ”e’ una riforma scomoda che non piace ai partiti che albergano nell’azienda e non piace ai concorrenti che mal vedono una Rai piu’ competitiva”. Mediaset supera Sky nel 2010 e torna in testa alla classifica dei ricavi del settore tv, con la Rai sul terzo gradino del podio. “Il sistema televisivo italiano – sottolinea Calabrò nella Relazione, citando i dati dello scorso anno – cresce del 4,5% in termini di risorse e si consolida in una tripartizione delle stesse tra Rai, Mediaset e Sky: Mediaset rappresenta il 30,9% delle risorse complessive, Sky il 29,3%, Rai il 28,5%”. In particolare, si legge nella Relazione, Mediaset cresce nei ricavi dell’8.1% e nel 2010 è a quota 2.770,60 milioni di euro (contro i 2.562,98 del 2009), Sky registra un +1.8% e raggiunge i 2.630,76 milioni (nel 2009 era a 2.583,18 milioni), la Rai ottiene un +2.5% e raccoglie 2.553,84 milioni (2.490,25 nel 2009). Segue a netta distanza Telecom Italia con una fetta dell’1.8% (seppur con una crescita del 4.9% dai 152,68 milioni del 2009 a 160,17 del 2010). “Nella raccolta pubblicitaria, Mediaset – precisa Calabrò – con il 38% degli ascolti, attira il 56% delle risorse pubblicitarie; Sky meno del 5%. La Rai, con circa il 41% degli ascolti, controlla il 24% della pubblicità”, essendo sottoposta a “uno stringente limite di legge”. Nell’andamento degli ultimi due anni, Mediaset ha visto aumentare i ricavi da spot dai 2.251,45 milioni del 2009 ai 2.413,50 del 2010 e quelli da offerte pay da 311,53 milioni a 357,10 milioni, mentre Sky ha aumentato la raccolta di pubblicità da 154,67 milioni a 190,5 milioni e i ricavi da tv a pagamento da 2.428,50 milioni a 2.440,17 milioni. Per la Rai, i ricavi da canone sono cresciuti da 1.531,53 milioni del 2009 a 1.558,44 del 2010, gli introiti pubblicitari da 909,90 milioni a 946,58 milioni.
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