Il Senato federale brasiliano ha destituito Dilma Rousseff dalla presidenza della Repubblica. Accusata di aver truccato i conti dello Stato per assicurarsi la rielezione nel 2014, a Presidenta era stata messa in stato di impeachment lo scorso maggio.
Le è stato fatale lo scandalo Petrobras, la Tangentopoli brasiliana che ha travolto i vertici del Partito dei Lavoratori (PT). La Rousseff non è indagata nell’inchiesta Lava Jato, ma è accusata di non aver fatto il necessario per contrastare la corruzione nei sei anni della sua presidenza. E quando ha nominato ministro l’ex presidente Lula – suo amico e mentore politico, che invece nello scandalo è coinvolto in prima persona – in tanti hanno concluso che gli volesse regalare l’impunità, e non l’hanno perdonata.
La destituzione della presidente era ampiamente prevista dai commentatori. Degli 81 senatori, 61 hanno votato a favore, cinque più del quorum di 54, gli altri 20 contro. Ma la Rousseff è riuscita a non farsi dichiarare ineleggibile in occasione delle prossime presidenziali, previste per il 2018. I senatori del PT hanno chiesto e ottenuto che sulle due questioni si tenessero due votazioni distinte, e la seconda non ha raggiunto il quorum. Nella conferenza stampa che ha indetto dopo il voto, la Rousseff ha promesso battaglia: ha annunciato che ricorrerà “in tutte le istanze” contro la decisione del Senato, e ha insistito sul fatto che il suo “non è un addio, ma un arrivederci fra poco”. Non ha risparmiato stoccate ai suoi rivali, definiti “un gruppo di corrotti” e accusati di averla deposta con un “golpe”.
Intanto Michel Temer, che negli ultimi mesi aveva ricoperto la carica ad interim, ha giurato come 37° presidente del Brasile. In un breve messaggio alla nazione, il neopresidente ha promesso di avviare un processo di pacificazione nazionale. “Non ci sono vincitori né vinti”, ha detto.
Avvocato costituzionalista di 75 anni, figlio di immigrati libanesi, Temer ha raggiunto la massima carica dello Stato dopo una lunga gavetta nell’UMDB. Ma il suo compito non si prospetta facile.
Aveva ottenuto la poltrona di vicepresidente perché il suo partito – l’Unione per il Movimento democratico brasiliano (UMDB), una formazione centrista e conservatrice – aveva portato nella coalizione i voti indispensabili per poter governare. Ma nel corso della legislatura si è trasformato da alleato scomodo ad acerrimo nemico del PT. In teoria il suo mandato scadrà nel 2018, alla fine della legislatura. Ma il Partito della socialdemocrazia brasiliana (PSDB) – la formazione guidata da Aécio Neves, passata dall’opposizione alla Rousseff a sostenere Temer – preme per sciogliere le camere prima possibile.
Nel mezzo mandato presidenziale che ha davanti, Temer dovrà affrontare ostacoli pericolosi. Tanto per cominciare, nonostante il crollo della popolarità della Rousseff, il neopresidente ha ancora meno consensi di lei, e in questo il passaggio da alleato a oppositore non lo aiuta. Inoltre dovrà fare i conti anche lui con lo scandalo Petrobras: la Camera dei Rappresentanti, la camera bassa del parlamento di Brasilia, non ha ancora archiviato la richiesta di impeachment presentata contro di lui.
F.M.R.
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