“Ciò di cui dubitiamo è che il purismo giuridico sia un metro ragionevole per valutare gli uomini cui chiediamo di tuffarsi nel fango per farvi pesca di malavitosi”. Indro Montanelli lo scriveva già negli anni ’90 in un brano tratto dal capitolo XVIII di “L’Italia di Berlusconi – 1993-1995:la Storia d’Italia”. E si riferiva alla vicenda di Bruno Contrada, ex numero 2 del Sisde, arrestato alla vigilia di Natale del 1992, con l’accusa di associazione mafiosa e portato prima nel carcere militare romano di Forte Boccea, quindi in quello militare palermitano, riaperto apposta per lui: e del quale rimase unico ospite.
Oggi Contrada, all’età di 89 anni, ha vinto la sua ultima battaglia, l’essere stato costretto a passare 10 anni della sua vita in carcere: con il riconoscimento dell’ingiusta detenzione deve essere risarcito dallo Stato italiano. La Corte d’Appello di Palermo che ha accolto la sua richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione dovrà risarcirgli 6670mila euro.
Contrada era stato condannato nel 2007 in via definitiva a 10 anni di reclusione (di cui quattro scontati in carcere e quattro ai domiciliari) per concorso esterno in associazione mafiosa. La condanna dell’ex poliziotto e agente segreto era stata giudicata illegittima dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Cassazione nel 2017. La stessa Corte nel 2014 aveva condannato lo Stato italiano per non aver ripetutamente concesso i domiciliari a Contrada fino al 2008, sebbene fosse malato e la sua condizione fosse incompatibile con la detenzione.
In seguito alla pronuncia europea l’avvocato di Contrada, Stefano Giordano, ha presentato per ben quattro volte richiesta di revisione del processo. Processo iniziato presso il tribunale di Caltanissetta il 18 novembre, con la corte chiamata a pronunciarsi per un nuovo respingimento o un nuovo processo con tre esiti possibili. La Corte d’Appello di Caltanissetta ha respinto la richiesta di revisione del processo, confermando la sentenza definitiva. Sentenza confermata poi dalla Cassazione. A quel punto Contrada per tramite del suo legale ha presentato un appello stavolta alla corte d’Appello di Palermo (ottobre 2016), affinché fosse recepita la pronuncia europea, tramite la revoca della condanna. Condanna revocata il 6 luglio 2017.
«I danni che io, la mia famiglia, la mia storia personale, abbiamo subito sono irreparabili e non c’è risarcimento che valga. Io campo con 10 euro al giorno. Stare chiuso per il coronavirus non mi pesa: sono stato recluso 8 anni», ha detto l’ex dirigente generale della polizia di Stato dopo essere stato informato della decisione della Corte d’Appello. «Il denaro – ha aggiunto – non può risarcire 28 anni di danni. Quando nel 2017 la Cassazione ha recepito la sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo ho provato un momento di gratificazione. L’Europa riconosceva la mia sventura umana e giudiziaria».
“Bruno Contrada – scrive Montanelli quando il protagonista ha passato i sessant’anni – era considerato, una ventina d’anni or sono, uno dei più brillanti poliziotti italiani. Bell’uomo dal piglio guascone, elegante, donnaiolo secondo le malelingue, mondano, furbo. Tale era la stima in cui veniva tenuto che fu messo a capo della Squadra mobile di Palermo: posto di estrema delicatezza e responsabilità. Lo lasciò nel 1977 per assumere la direzione della Criminalpol della Sicilia occidentale – queste duplicazioni e sovrapposizioni d’uffici e di competenze non danno in generale buoni frutti, ma lasciamo perdere – e alla Squadra mobile palermitana tornò nel 1979, dopo che il suo successore Boris Giuliano era stato assassinato. Un atto di grande coraggio, il suo, se immune da cedimenti. I cedimenti invece ci furono, secondo alcuni pentiti e secondo la procura di Palermo. Gaspare Mutolo (appunto un «pentito») ha sostenuto che proprio nel 1979 Bruno Contrada fu assoggettato a Cosa nostra. Da allora in poi la carriera di Contrada può essere letta in due modi diversi, anzi opposti: o in chiaro, come il progredire d’un funzionario stimato e capace (capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia, uomo di punta del SISDE in Sicilia) o in controluce come il doppiogioco d’un colluso con le cosche che ostentava zelo inquisitorio per buttare fumo negli occhi: e sotto sotto si dava da fare per favorire i boss”.
Alla vigilia di Natale del 1992 Contrada fu arrestato per associazione mafiosa e portato prima nel carcere militare romano di Forte Boccea, quindi in quello militare palermitano, riaperto apposta per lui: e del quale rimase unico ospite. E la sua carcerazione preventiva lunga 10 anni deve essere considerata, come scriveva il grande Montanelli, “una barbarie indegna d’un Paese che pretende d’essere la culla del diritto, e che sembra avere una gran voglia d’esserne la bara”.
“Ciò di cui dubitiamo è che il purismo giuridico sia un metro ragionevole per valutare, senza che si commetta un’iniquità in nome della legge, gli uomini cui chiediamo di tuffarsi nel fango per farvi pesca di malavitosi: e i nostri dubbi crescono se il purismo giuridico è avallato non da prove inconfutabili o dalla parola di specchiati galantuomini, ma dalla parola d’altri malavitosi della peggiore specie che possono avere mille e una ragione per incolpare a torto”. Lo diceva a chiare note Montanelli e noi lo sottoscriviamo in questo caso, che non è purtroppo l’unico.
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