La Norvegia ha finito la spazzatura e non sa più come riscaldarsi . Non è un problema, per loro, bruciare immondizia e ricavarne energia: gli studi dell’autorità svedese per lo smaltimento dei rifiuti sostengono che i termovalorizzatori permettono al regno di risparmiare 1,1 milioni di barili di petrolio all’anno rendendo la termovalorizzazione una delle tecniche per abbattere i gas serra.
Ma per fortuna ci siamo noi. A compensare il deficit di spazzatura dell’Europa del Nord (Norvegia, Svezia, Danimarca, Germania, Olanda e Belgio le nazioni che si affidano gli inceneritori) ci pensano Italia, Gran Bretagna, Spagna e Francia: paesi ancora molto affezionati alle discariche. L’affare è vantaggioso due volte. La prima perché sono gli stessi esportatori a pagare le balle di rifiuti spediti via treno o via nave. La seconda perché il calore e l’elettricità generati dalle centrali a spazzatura riscaldano e illuminano le città, permettendo di risparmiare petrolio. La Norvegia, grazie all’energia dei rifiuti e a quella idroelettrica, può permettersi di vendere gli idrocarburi che estrae. Nel rifornirsi di spazzatura, questi Paesi non affrontano una spesa, ma un guadagno: 100-150 euro a tonnellata. Alla faccia di chi sa solo buttare i rifiuti nelle discariche.
Oslo infatti , una città di quasi un milione e mezzo di abitanti, riscalda le sue scuole e metà delle abitazioni con gli scarti domestici. La Svezia, che con la spazzatura dà elettricità a 13 milioni di abitanti e calore a 12 milioni (riscaldando 810mila case, il 20% del totale), può permettersi di risparmiare ogni anno 1,1 milioni di metri cubi di petrolio, secondo i dati dell’agenzia nazionale Swedish Waste Management.
Ora, però, è in crisi. Tutta colpa dei suoi abitanti, che riciclano quasi la metà di ciò che buttano e lasciano un misero 2 per cento alla discarica. E non può nemmeno chiedere aiuto ai vicini. La Svezia, che ha un problema analogo, lo scorso novembre ha dovuto lanciare una campagna extra di importazioni per arrivare alla fine dell’inverno. Con la loro capacità di inghiottire 700 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno, i paesi del Nord Europa non riescono a sfamarsi con una produzione di materia prima che si ferma a meno di un quinto del necessario.
L’Italia, invece, ha un’emergenza al contrario. La drammatica e ridicola arretratezza nostrana è il frutto di una classe dirigente e politica disinteressata, ma anche di una popolazione con scarso senso della realtà. Da noi si considera un gran successo se il 30-40% dei rifiuti riesce ad essere trasformato in combustibile e la percentuale non si riferisce alla totalità dei rifiuti, come nei due paesi nordici fondati su riciclo e discariche ridotte allo stretto indispensabile, ma a quelli trattati.
La gestione dei rifiuti nella Capitale, ad esempio, da trent’ anni ruota attorno alla discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, di cui il sindaco Alemanno ha promesso la chiusura definitiva, dopo varie proroghe per fine giugno.
Per decenni Malagrotta ha raccolto tutta la spazzatura di Roma e dintorni, disincentivando differenziata e trattamento dei rifiuti, che appunto finivano in discarica così come erano stati raccolti dai cassonetti stradali (pratica vietata dall’Europa che è già costata alla Regione Lazio l’apertura di una procedura d’infrazione e il deferimento recente alla Corte di giustizia).
Se si vuole evitare di continuare a mettere i rifiuti sottoterra bisogna far sì che anche le tonnellate che oggi finiscono in discarica siano trattate: per metà da due nuovi impianti di trattamento a freddo e in parte direttamente dai cittadini tramite una raccolta porta a porta organizzata in maniera efficiente .
Preso atto, dunque , del tragico fallimento della politica nazionale e locale, che, nonostante roboanti programmi, idee illuminate, progetti elaborati da prestigiosi centri di ricerca, non è stata in grado di mettere in atto nessuna strategia per fare fronte all’emergenza di oggi, occorre stabilire cosa fare finché non saremo in grado di riciclare anche quelle 1800 tonnellate che attualmente vanno in discarica.
F.B.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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