Si è concluso il processo bis con una sentenza che condanna Marcello Dell’Utri, ex senatore del Pdl, per concorso esterno in associazione mafiosa: 7 anni, come richiesto dal Pg Luigi Patronaggio. Una precedente sentenza d’appello era stata annullata dalla Cassazione. Il process,o, che si conclude oggi si era aperto il 18 luglio del 2012 e il 18 gennaio scorso il Pg Luigi Patronaggio aveva chiesto la conferma della pena di sette anni per Dell’Utri. Concorso esterno in associazione mafiosa, confermata in Appello la pena di primo grado. La sentenza che ha condannato oggi l’ex senatore del Pdl giunge a 17 anni dall’avvio delle indagini, aperte nel 1994 dalla Procura di Palermo e sfociate nell’ottobre del 1996 nel rinvio a giudizio.
“Il romanzo criminale continua…”: è il commento a caldo di Dell’Utri sulla sentenza d’appello che lo ha condannato a 7 anni di carcere, accogliendo la richiesta del pg Luigi Patronaggio. “Naturalmente speravo in un’assoluzione – dice Dell’ Utri – ma sapevo anche che poteva essere una condanna. Ne prendo atto”. E ai giornalisti che gli chiedevano se avesse fiducia nella magistratura: “Fiducia è una parola grossa – ha detto l’ex senatore – io continuo ad avere tranquillità: ci sarà la Cassazione. Ci stava l’assoluzione, ci stava anche la condanna”. Se arrivasse la prescrizione direi come Andreotti e cioé sempre meglio che niente
Le indagini erano state aperte nel 1994 dalla Procura di Palermo per poi sfociare nell’ottobre del 1996 nel rinvio a giudizio. Il primo processo, apertosi il 5 novembre del 1997 davanti al Tribunale di Palermo presieduto da Leonardo Guarnotta, era durato sette anni e si era concluso l’11 dicembre del 2004 con la condanna dell’imputato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, più due anni di libertà vigilata, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento per le parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo. “Vi è la prova -aveva scritto il collegio nella motivazione- che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo processo penale”. Quel verdetto era stato parzialmente corretto in secondo grado, in un processo assai più rapido del primo, iniziato il 16 aprile del 2010 e conclusosi il 29 giugno dello stesso anno quando la Corte di Appello, presieduta da Claudio Dall’Acqua, aveva ridotto a sette anni la pena per Dell’Utri, a fronte di una richiesta di 11 anni formulata dal procuratore generale Antonio Gatto. I giudici avevano ritenuto provati i rapporti tra Dell’Utri e la mafia fino al 1992 mentre lo avevano assolto “perché il fatto non sussiste” per i fatti successivi. Aveva però retto l’impianto accusatorio secondo cui Dell’Utri avrebbe fatto da mediatore tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi, e lo aveva tra l’altro convinto ad assumere come stalliere ad Arcore il boss Vittorio Magano, morto poi di cancro in carcere. La sentenza di appello era stata parzialmente annullata il 9 marzo 2012 dalla Cassazione, che aveva accolto il ricorso della difesa di Dell’Utri. Confermata l’assoluzione per le accuse successive al 1992, e per le quali la sentenza è diventata definitiva, la quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Aldo Grassi, nelle motivazioni depositate il 24 aprile successivo, aveva spiegato che risulta”probatoriamente dimostrato” il comportamento di Dell’Utri “di rafforzamento dell’associazione mafiosa fino a una certa data, favorendo i pagamenti a Cosa Nostra di somme non dovute da parte di Fininvest. Tuttavia -aveva ritenuto la Cassazione- va dimostrata l’accusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore di Forza Italia lasciò Fininvest per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, tra il 1977 e il 1982”. Su questo aspetto, la Cassazione aveva disposto un nuovo giudizio davanti a una diversa sezione della Corte di Appello di Palermo, quella presieduta da Raimondo Lo Forti, che si è pronunciata oggi.
A.B.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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